Il problema della responsabilità dei soci e dei liquidatori delle società di capitali liquidate ed estinte presenta importanti ricadute sotto il profilo della tutela dei creditori sociali rimasti insoddisfatti. Tra tali creditori figura anche il fisco, sia con riferimento ai debiti tributari esposti nel bilancio finale di liquidazione sia per le pretese impositive azionabili dopo la cancellazione della società.
A seguito della riforma del diritto societario[1], e più precisamente a partire dall’1 gennaio 2004, la cancellazione della società di capitali dal Registro delle imprese è condizione necessaria e sufficiente per l’estinzione della medesima e, pertanto, eventuali debiti non potranno più essere richiesti in capo alla stessa, ma dovranno eventualmente, ricorrendone i presupposti, essere avanzati nei confronti dei soci ovvero dei liquidatori (in generale per gli effetti della cancellazione delle società dal Registro delle imprese si veda articolo pubblicato nel C&S Informa, numero 5, anno 2013 dal titolo “Gli effetti della cancellazione delle società dal Registro delle imprese secondo i più recenti sviluppi giurisprudenziali”).
La portata estintiva della cancellazione della società comporta, da un lato, che la sussistenza di un rapporto tributario non definito non potrà, in nessun modo, far rivivere l’ente disciolto, e dall’altro che l’Amministrazione Finanziaria non potrà più emanare e notificare atti impositivi intestati alla società estinta e, di conseguenza, potrà solamente contare, e al verificarsi di determinate condizioni, sulla responsabilità dei soggetti superstiti, quali soci e liquidatori.
In tale contesto l’Amministrazione Finanziaria può innanzitutto rivalersi nei confronti di tali soggetti avvalendosi della disposizione di cui all’articolo 36 del D.P.R. n. 602/1973.
Occorre premettere innanzitutto che il citato articolo 36 opera solo in materia di Ires e non si estende all’Irap e all’Iva. Si ritiene infatti che la predetta disposizione non possa essere estesa in via interpretativa per il recupero dell’Iva e dell’Irap nei confronti dei soci e/o dei liquidatori, poiché in campo tributario vige il codificato principio del divieto di applicazione analogica sancito dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 46/1999.
L’articolo 36 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che i soci che hanno ricevuto denaro e altri beni sociali, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, o che hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società nei limiti del valore dei beni stessi.
Anzitutto la norma individua due frazioni temporali durante le quali i soci ricevono beni o somme di denaro; una che decorre dai due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione fino all’apertura della procedura e l’altra collegata all’inizio della liquidazione fino alla cessazione totale di qualsiasi attività. La percezione ovvero l’assegnazione di tali valori durante questo periodo di sorveglianza determina, dunque, la responsabilità dei soci. Tali eventi fungono anche da limite nel quantum dell’obbligazione dei soci, considerato che questi risponderanno nel limite del valore di tali attribuzioni.
I liquidatori, invece, che non hanno adempiuto all’obbligo di pagare con le attività della liquidazione le imposte dovute dalla società per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte, qualora abbiano soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli tributari o abbiano assegnato beni ai soci senza avere prima soddisfatto i crediti tributari.
La responsabilità dei liquidatori, quindi, dovrà essere provata dalla sussistenza congiunta di vari presupposti, quali l’esistenza di un debito fiscale a carico della società per imposte dirette, la non soddisfazione dei debiti tributari nonostante la presenza di attività nel patrimonio della società in liquidazione e la distrazione o l’utilizzo di tali attività per finalità diverse dal pagamento delle imposte dovute.
Tale responsabilità si riferisce non solo alle passività fiscali note, in quanto cristallizzate in atti impositivi già notificati, ma anche a passività non ancora definite. In tale prospettiva, dunque, i liquidatori possono essere chiamati a rispondere, oltre dell’inadempimento dell’obbligo di pagare con le attività della liquidazione le imposte dovute dalla società, anche del mancato accantonamento delle somme necessarie al pagamento delle future e prevedibili maggiori imposte, derivanti da successivi avvisi di accertamento che l’Amministrazione Finanziaria potrebbe notificare dopo la chiusura della procedura di liquidazione.
Qualora si ritenesse la non applicabilità dell’articolo 36 del D.P.R. n. 602/1973 i soci ed i liquidatori potrebbero comunque essere chiamati a rispondere delle imposte non versate dalla società, ai sensi dell’articolo 2495 del codice civile.
In questa prospettiva, il Fisco potrebbe avvalersi, così come ogni altro debitore insoddisfatto, della regola di carattere generale di cui al citato articolo. Tale disposizione normativa prevede la responsabilità individuale dei singoli soci, solo se e nei limiti di ciò che è stato loro assegnato in base al bilancio finale di liquidazione e la responsabilità dei liquidatori se il mancato soddisfacimento del debito tributario è dipeso da colpa di questi ultimi.
In particolare l’articolo 2495 c.c. fonda un’ipotesi di responsabilità professionale dei liquidatori. Si tratta di una responsabilità aquiliana derivante dall’attività dei liquidatori che, dunque, risponderebbero direttamente di un debito nascente dal proprio comportamento colposo distinto dall’obbligazione tributaria della società estinta. I liquidatori, quindi, non risponderanno nel caso in cui il mancato pagamento non sia ad essi imputabile, né a titolo di colpa, né a titolo di dolo.
Per evitare la responsabilità ex articolo 2495 c.c. ed in particolare ex articolo 36 del D.P.R. n. 602/1973 il liquidatore deve essere diligente soprattutto nella fase finale della liquidazione, attraverso la redazione del bilancio finale di liquidazione e la formazione di una corretta informativa sulla gestione e sull’andamento della procedura liquidatoria[2].
Per quanto simili le responsabilità delle disposizioni in esame differiscono, innanzitutto, per l’ambito temporale. L’articolo 2495 c.c., infatti, individua un intervallo temporale limitato al bilancio finale di liquidazione, mentre l’articolo 36 del D.P.R. n. 602/1973 comprende anche i due periodi di imposta anteriori alla fase di liquidazione. Anche l’aspetto oggettivo cambia, poiché l’articolo 36 del citato decreto riguarda in maniera specifica ed esclusiva l’Ires non assolta dalla società di capitali, mentre nell’articolo 2495 c.c. sembrerebbero rientrare anche gli altri tributi, considerato che non è prevista alcuna distinzione relativa alla tipologia di crediti. L’ambito soggettivo dell’articolo 36 del D.P.R. n. 602/1973 si differenzia, invece, da quello dell’articolo 2495 c.c. in quanto quest’ultimo non prevede espressamente una responsabilità degli amministratori per i due anni precedenti la liquidazione. Infine l’articolo 36 del citato decreto prevede una responsabilità per fatto proprio e di tipo oggettivo per i liquidatori, a differenza di quella civilistica che richiede, invece, la prova dell’elemento soggettivo della colpa.
In ipotesi di assenza di debiti tributari nel bilancio finale di liquidazione l’Amministrazione Finanziaria potrebbe comunque procedere ad emanare un avviso di accertamento notificandolo ai soci e/o ai liquidatori della società di capitali cancellata dal Registro delle imprese ai sensi degli articoli 2495 c.c. e/o 36 del D.P.R. n. 602/1973. In tali casi l’Agenzia delle Entrate dovrà contestare il debito nei confronti dei soci e/o dei liquidatori, attraverso l’emanazione di atti impositivi, nei quali siano dimostrati i presupposti per l’attivazione della responsabilità prevista nelle citate disposizioni normative.
L’atto impositivo notificato dovrà illustrare, a pena di nullità della motivazione, il saldo attivo effettivamente riscosso dal socio, costituendo questo il limite massimo della sua responsabilità. In aggiunta, o in alternativa, l’avviso di accertamento dovrà indicare il debito tributario dovuto per il periodo della liquidazione e per i periodi anteriori e il comportamento colposo imputabile ai liquidatori da cui far discendere il mancato pagamento del debito tributario da parte della società.
La contestazione della responsabilità di soci e/o liquidatori comporta, pertanto, una duplice motivazione nell’atto impositivo, ovvero: una motivazione che comprenderà, come di consueto, le ragioni di fatto e di diritto che giustificano la quantificazione delle maggiori imposte dovute dalla società, nonché una motivazione specifica per cui, ex articolo 2495 c.c. e/o art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, i soci o i liquidatori possono essere ritenuti responsabili delle maggiori imposte accertate a carico della società.
Un’ultima considerazione è relativa alle problematiche di carattere fallimentare. Il creditore insoddisfatto di una società di capitali cancellata dal Registro delle imprese, infatti, può chiedere il fallimento della stessa ai sensi e nei limiti temporali previsti dalle disposizioni della Legge Fallimentare[3].
In particolare per essere sottoposta a procedura fallimentare una società deve possedere alternativamente uno dei seguenti requisiti dimensionali:
In relazione al termine sopra citato, invece, le società possono essere dichiarate fallite entro un anno dalla cancellazione dal Registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo.
[1] Cfr. art. 4 del D.Lgs. 17/01/2003, n. 6.
[2] Cfr. principio contabile OIC 5.
[3] Cfr. artt. 1 e 10 del R.D. 16/03/1942, n. 267.
a cura di:
dott. Giacomo Disarò
pubblicato su:
C&S Informa, volume 14, numero 7 anno 2013