I patti parasociali, ai quali si applica la disciplina anteriore a quella dettata dalla riforma del diritto societario, sono validi anche se contratti senza l’indicazione di alcun limite di tempo predeterminato. Tuttavia, il disvalore con cui il nostro ordinamento guarda ai vincoli obbligatori a tempo indeterminato deve esser bilanciato con il diritto per ciascun aderente al patto di recedervi unilateralmente, pur in assenza di un’espressa pattuizione in tal senso. Inoltre, detto recesso potrà essere esercitato legittimamente con effetto immediato solo in presenza di una giusta causa, mancando la quale, invece, deve dirsi necessario un congruo preavviso.
Questi, in estrema sintesi, i principi emergenti dalla sentenza n. 6898 del 22 marzo 2010 della Corte di Cassazione, relativi alla validità ed efficacia di un patto parasociale, privo di determinazione temporale.
Come noto, i patti parasociali sono accordi atipici stipulati tra tutti o solo alcuni soci di una società (generalmente di capitali) contestualmente o successivamente alla sua costituzione, al fine di influire sulla gestione e organizzazione del rapporto sociale. Trattasi, in altri termini, di accordi interni che mirano a condizionare il comportamento degli aderenti nell’esercizio dei diritti sociali, rimanendo l’organizzazione sociale totalmente estranea al patto stesso: la pattuizione quindi non riguarda la società in sé, ma vincola esclusivamente la persona dei singoli soci e degli eventuali terzi che vi partecipano, con le conseguenze, in tema di tutela accordata al patto, che di seguito si diranno.
La pratica ha generato una molteplicità di patti parasociali, i quali vengono quindi a costituire un amplio genus entro il quale si collocano diverse tipologie di accordi. Una prima categoria è rappresentata dai sindacati azionari di cui, il sindacati di voto, attraverso i quali gli aderenti disciplinano l’esercizio del diritto di voto in assemblea, rappresenta un’ulteriore sottospecie. La sentenza in esame si riferisce appunto a quest’ultima tipologia di patto.
Gli artt. 2341-bis e ter c.c, come inseriti dal D.Lgs. 6/2003 di riforma del diritto societario, hanno inserito un’espressa ed innovativa disciplina in materia di patti parasociali. In particolare, per quanto interessa ai fini in esame, si è stabilito che i patti, in qualunque forma stipulati, che, al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle SpA, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore. Inoltre, si è statuito che, qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni. La stessa normativa ha altresì introdotto una disciplina transitoria, ma solo con riferimento ai patti di durata a tempo determinato, stabilendo che il limite di cinque anni si applica anche ai patti stipulati prima del 01.01.2004 e a decorrere dalla medesima data. Nessuna disciplina transitoria è invece prevista per i patti a tempo indeterminato stipulati prima dell’entrata in vigore della riforma, con l’effetto che detta disciplina, nei riguardi di tale tipologia di accordi, non ha effetto retroattivo (art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c.). Di qui l’interrogativo su quale sia il regime giuridico, la validità e l’efficacia di pattuizioni prive di limiti di durata.
Il caso analizzato nella sentenza qui commentata concerneva un sindacato di voto, stipulato senza la previsione di alcun limite di durata tra alcuni soci di una S.p.A al fine di vincolarsi nella nomina dei membri del consiglio di amministrazione. Un socio, lamentando l’inosservanza del patto, in virtù del quale avrebbe avuto il diritto ad essere nominato nella carica di consigliere, ha adito in giudizio i parasoci inadempienti al fine di chiedere il risarcimento dei danni causati dalla mancata conferma dell’incarico.
Va incidentalmente ricordato, infatti, che i patti parasociali, in qualunque caso, non ricevono tutela sul piano reale ma esclusivamente su quello obbligatorio. L’unica conseguenza derivante dall’inadempimento del sindacato di voto è la responsabilità risarcitoria del socio inadempiente, il quale rimane dunque libero di violare il patto qualora, a suo personale giudizio, l’interesse ad un certo esito della votazione debba prevalere sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento. L’aderente al patto, infatti, mai potrebbe ottenere un provvedimento coercitivo nei confronti dell’inadempiente, perché se così fosse davvero i parasoci potrebbero svuotare l’assemblea delle funzioni che le sono per legge attribuite inderogabilmente. E’ proprio alla luce di questo principio di incoercibilità del patto ed ininfluenza della violazione dello stesso sulla validità delle decisioni assunte dagli organi sociali che i patti parasociali e specie i “sindacati di voto” hanno potuto trovare cittadinanza nel nostro ordinamento.
Tornando al caso in esame, i Giudici di primo grado e d’appello avevano comunque rigettato la domanda attorea, concludendo per la radicale nullità del patto per essere stato appunto concluso a tempo indeterminato e senza previsione di alcuna facoltà di recesso per tutte le parti. Così statuendo, i Giudici dei primi due gradi di giudizio hanno mostrato di aderire ad un primo orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. 9975/95), per il quale deve ritenersi operante nel nostro ordinamento un principio assoluto ed inderogabile di temporaneità dei rapporti obbligatori, ritenuto persino di principio di ordine pubblico, non ovviabile con una sorta di integrazione legale del contratto tale da poter introdurre tacitamente limiti temporali ove non espressamente voluti, pena la lesione del principio della libertà contrattuale.
Tuttavia, cassando le precedenti pronunce, la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, contesta i predetti assunti e mostra di abbracciare, consolidandola definitivamente, l’opzione interpretativa opposta e più recente, la quale giunge a salvare il patto parasociale a tempo indeterminato, inserendo semplicemente la possibilità per l’aderente di potersi dallo stesso svincolare, sul presupposto che il recesso unilaterale deve ritenersi causa estintiva ordinaria ed immanente di qualunque rapporto di durata, rispondente all’esigenza di evitare la perpetuità di qualsivoglia vincolo obbligatorio (come avviene ad esempio con l’art. 1569 c.c. nel contratto di somministrazione).
Confermata quindi la validità del patto parasociale a tempo indeterminato, ed altresì il diritto della parte contraente di sottrarsi unilateralmente al patto, e ciò pur in assenza di espressa previsione di recesso, resta da valutare la tempistica da osservare per il corretto esercizio di detto diritto.
Sul punto, la sentenza 6898/2010 precisa che il recesso può avvenire: i) con effetto immediato se sussiste una giusta causa; ii) con congruo preavviso, in caso contrario.
In assenza di chiarificazioni da parte della Corte, si ritiene si possa parlare di giusta causa in ipotesi di fatti di un’oggettiva e concreta gravità, quali il compimento da parte del socio che aspiri ad essere nominato nel consiglio di amministrazione, beneficiando del voto degli aderenti al patto, di atti lesivi dell’interesse della società stessa.
Per quanto riguarda invece il recesso con congruo preavviso, indipendente e svincolato da alcuna giustificazione, si ritiene che in assenza di alcuna determinazione normativa o convenzionale del termine, esso dovrà essere valutato di volta in volta, in relazione alla natura ed al tipo di interesse in gioco, essendo comunque indispensabile che il recesso venga preannunciato in tempo utile a che il socio che lo subisce possa valutare il nuovo assetto di interessi venutisi a creare in conseguenza dello stesso, consentendogli di agire eventualmente per rimodellarlo.
In caso di un illegittimo esercizio del diritto di recesso, perché carente di una giusta causa o di un congruo e chiaro preavviso (a nulla valendo comportamenti asseritamente taciti – quale nel caso di specie la presentazione di una lista di candidati al consiglio di amministrazione non conforme agli accordi parasociali, posto che comunque la presentazione di una lista si inserisce nel procedimento di voto), ben spetta al socio il diritto al risarcimento per il danno patito dall’inadempimento dei parasoci.
a cura di:
avv. Valentina Martini
pubblicato su:
C&S Informa, volume 11, numero 4 anno 2010