L’articolo costituisce la prosecuzione del contributo iniziato nel precedente numero di CS Informa settembre 2012
Le sanzioni gravi
Un ulteriore limite all’accesso ai procedimenti di conciliazione comunitari è contenuto nella Convenzione che prevede che la procedura amichevole (art. 6) o il procedimento arbitrale (art.7) possano essere sospesi quando l’impresa interessata sia passibile di “sanzioni gravi” in base ad un concomitante un procedimento giudiziario o amministrativo interno[1].
Riguardo alla individuazione delle “sanzioni gravi”, accogliendo le sollecitazioni in tal senso emerse nell’ambito del Joint Transfer Price Forum, integrando il Codice di Condotta per l’applicazione della Convenzione, il Consiglio dei Ministri UE ha raccomandato agli “Stati membri di chiarire o modificare le rispettive dichiarazioni unilaterali di cui all'allegato della Convenzione sull'arbitrato per sancire con maggiore chiarezza il fatto che sanzioni gravi dovrebbero essere comminate soltanto in casi eccezionali quali le frodi”[2].
L’Italia aveva già espresso la propria posizione conforme a tale raccomandazione in sede di emanazione della Convenzione arbitrale dichiarando che “per “sanzioni gravi” si intendono le sanzioni previste per illeciti configurabili, ai sensi della legge nazionale, come ipotesi di reato fiscale”.
La Circolare n. 21 si pone l’obiettivo di chiarire e circoscrivere le fattispecie di illecito tributario che possono costituire un ostacolo al proseguimento del processo amichevole o dell’arbitrato: l’Italia ha scelto di limitare il campo della preclusione di cui all’articolo 8 della Convenzione arbitrale ai reati fiscali di natura penale non estendendolo al campo delle sanzioni amministrative.
Precludono la strada convenzionale i reati di Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000) e Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000).
In presenza di tali fattispecie di reato, evidenzia l’Amministrazione fiscale, la violazione non sarebbe generata da un problema di valutazione delle transazioni tra imprese associate secondo il principio di libero mercato, bensì originerebbe da atti o documenti falsi o artefatti allo scopo di dissimulare fatti materiali realmente o diversamente accaduti. In altre parole, il reato penale sarebbe preesistente e prevalente rispetto all’eventuale vizio di valutazione dei prezzi di trasferimento infragruppo.
Diverso è il caso di rischio penale connesso al reato di Dichiarazione infedele (art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000): ai sensi di tale norma si realizza una violazione di dichiarazione fiscale infedele rilevante ai fini penali se le variazioni in aumento rispetto al reddito dichiarato rilevate dell’Amministrazione fiscale superano in valore i limiti ivi previsti. Il profilo penale tuttavia può venire meno se nella condotta del contribuente non viene riscontrato l’intento di frodare volontariamente il fisco. Dunque, potrebbe verificarsi che una variazione dell’imponibile in aumento derivante dalla revisione del metodo di valutazione dei prezzi di trasferimento tra imprese associate comporti, dato l’ammontare, il configurarsi del reato di infedeltà della dichiarazione. Tuttavia, chiarisce la Circolare n. 21, tale violazione risulterebbe punibile penalmente, e di conseguenza comporterebbe la sospensione della procedura amichevole o dell’arbitrato, solo se nel comportamento del contribuente nel processo di valutazione dei prezzi di trasferimento venga riscontrato l’intento evasivo.
Rapporto con i cosiddetti “istituti deflativi del contenzioso”
Il nostro ordinamento prevede alcuni istituti giuridici, cosiddetti “deflativi del contenzioso” (accertamento con adesione, mediazione tributaria e conciliazione giudiziale) cui contribuente e Amministrazione fiscale possono/devono ricorrere per tentare di comporre una controversia derivante da maggiori pretese tributarie in via extragiudiziale, preventivamente rispetto al coinvolgimento dell’autorità giudiziaria oppure in pendenza del processo tributario. In ambito nazionale, se la controversia viene composta in applicazione di uno di tali istituti, l’atto di definizione è impegnativo per entrambi i soggetti coinvolti (contribuente e Amministrazione fiscale) e, salvo casi specifici, non rivedibile. Se invece, l’esperimento di detti istituti non porta ad una soluzione condivisa, allora diventa o resta valida la possibilità di adire al tribunale tributario.
Convenzioni bilaterali (art. 25 Modello OCSE)
Rispetto all’attivazione di una procedura amichevole ai sensi dell’art. 25 primo comma del Modello di Convenzione bilaterale OCSE, l’accesso ad un istituto deflativo e il raggiungimento di un accordo tra contribuente e Amministrazione fiscale in virtù di tale istituto, produce l’effetto di rendere inefficace qualsiasi soluzione riguardo alla medesima fattispecie concordata tra autorità fiscali dei due Paesi coinvolti.
In altre parole, qualora Amministrazione fiscale e contribuente giungano ad un accordo riguardo ad una fattispecie di doppia imposizione contestata, tale intesa è immodificabile e si consolida pur sussistendo una MAP in corso di svolgimento e indipendentemente dall’esito di quest’ultima. Ciò anche qualora l’accordo interno concluso in applicazione di un istituto deflativo non abbia l’effetto di eliminare del tutto il fenomeno di doppia imposizione originario: in questo caso, l’unico rimedio possibile è demandato alla volontà sostanzialmente unilaterale delle autorità estere di conformare la propria posizione al fine di eliminare la duplicazione dell’imposta.
Convenzione arbitrale UE
Seppure con motivazioni diverse che scaturiscono dalla natura sostanzialmente differente delle due procedure amichevoli, il principio di immodificabilità degli atti di definizione deflativi del contenzioso interno e i suoi effetti sull’esito della procedura amichevole disciplinata dall’art. 25 del modello OCSE sono, secondo il parere espresso nella Circolare n. 21, ugualmente valevoli rispetto al procedimento di composizione delle controversie previsto nella Convenzione arbitrale UE. Il ricorso ad un istituito deflativo è l’espressione esplicita della volontà di definire i rapporti tra contribuente e Amministrazione fiscale senza ricorrere al contenzioso sia nazionale che internazionale (comunitario). Dunque, l’accordo, se raggiunto, a chiusura dell’istituto deflativo, preclude ogni efficacia ad una eventuale decisione arbitrale che intervenga in applicazione della Convenzione.
Se la doppia imposizione non è stata integralmente rimossa per tramite dell’atto di definizione deflativa, anche in questo caso resta comunque possibile di addivenire all’eliminazione della duplice imposta grazie all’intervento unilaterale dell’autorità fiscale estera in sede di procedura amichevole.
[1] Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (90/436/CEE), art. 8 comma 2.
[2] CONSIGLIO - Revisione del codice di condotta per l'effettiva attuazione della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (2009/C 322/01)
a cura di:
dott.ssa Sarah Benettin
pubblicato su:
C&S Informa, volume 13, numero 7 anno 2012