A norma dell’articolo 2364 del codice civile, l’assemblea dei soci deve essere convocata per discutere e deliberare sull’approvazione del bilancio di esercizio entro il termine stabilito dallo statuto, il quale non deve essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato o in presenza di particolari esigenze relative alla struttura o all’oggetto della società, lo statuto può prevedere un termine maggiore rispetto quello ordinario, non superiore in ogni caso a 180 giorni. Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, il mancato rispetto delle tempistiche di approvazione imposte dalla legge non provoca l’illegittimità della delibera di approvazione del bilancio di esercizio, avendo tali termini natura ordinatoria e non perentoria. Tuttavia, in talune ipotesi, può essere promossa azione di responsabilità nei confronti dell’organo tenuto alla convocazione dell’assemblea.
Nell’ambito della disciplina generale delle società per azioni, il secondo comma dell’articolo 2364 del codice civile tratta della convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio di esercizio stabilendo che “l’assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta all’anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale”. Tale disposizione trova applicazione anche nella disciplina delle società a responsabilità limitata per effetto del rinvio operato dall’articolo 2478-bis del codice civile. Lo scopo della norma è quello di assicurare una periodicità minima (almeno annuale) delle riunioni assembleari in una data sufficientemente prossima a quella di chiusura dell’esercizio, in modo da garantire ai soci la possibilità di esaminare e discutere entro un termine ragionevole l’andamento economico, finanziario e patrimoniale della società ed eventualmente approvare i risultati di gestione di ogni esercizio; tale fine potrebbe non essere conseguito se la scelta delle date di convocazione venisse affidata alla mera discrezionalità degli amministratori.
Rispetto ai 120 giorni, il detto articolo 2364 ammette la possibilità che lo statuto preveda “un maggior termine, comunque non superiore a 180 giorni, nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano particolari esigenze relative alla struttura ed all’oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall’articolo 2428 le ragioni della dilazione”.
La ratio è quella di consentire un lasso di tempo più ampio di redazione del progetto di bilancio in presenza di situazioni che rendano difficoltosi il reperimento e l’elaborazione dei dati contabili.
La norma subordina l’utilizzo del maggior termine per la convocazione dell’assemblea a talune condizioni:
Con riguardo alla previsione statutaria, si segnala che è maggioritario in dottrina e in giurisprudenza l’orientamento secondo cui la clausola da indicare in statuto per poter usufruire del maggior termine in esame “non deve necessariamente contenere l’indicazione analitica e specifica delle fattispecie che consentono il prolungamento del termine stesso”, ma che sia sufficiente specificare “che tale dilazione è possibile solo in presenza delle condizioni previste dalla legge”. Si ritiene, infatti, che “i casi nei quali è ammissibile il rinvio non sono predeterminabili a priori e in via definitiva in statuto, essendo eventi che possono verificarsi o meno nei diversi esercizi: ciò vale ovviamente per l’obbligo di redazione del bilancio consolidato ma anche per le particolari esigenze connesse alla struttura ed all’oggetto sociale, locuzione che ricomprende non solo situazioni ripetitive e fisiologiche ma anche fattispecie straordinarie”[1].
Tali considerazioni trovano conferma nel fatto che il medesimo articolo prevede per gli amministratori l’obbligo di fornire adeguata motivazione nella relazione sulla gestione allegata al bilancio: è compito, quindi, dell’organo amministrativo individuare le ipotesi concrete che consigliano di avvalersi della facoltà di dilazione del termine prevista genericamente dallo statuto.
Circa le ragioni della proroga, si è già detto che il termine c.d. “lungo” è fruibile solo in tre ipotesi: se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato, se la società presenta particolari esigenze legate alla struttura della società, se la società presenta particolari esigenze legate all’oggetto sociale. La previsione legislativa di precise ipotesi al verificarsi delle quali è possibile prolungare il termine di convocazione dell’assemblea è volta a rendere tale differimento un evento eccezionale e non una regola di comportamento costante dell’organo amministrativo: l’uso del termine lungo, quindi, non deve rappresentare un “espediente” in mano agli amministratori per ottenere semplicemente più tempo per redigere il progetto di bilancio, ma deve costituire una necessità per far fronte ad esigenze strutturali o ad eventi di carattere straordinario.
Mentre con riferimento all’ipotesi di obbligatoria redazione del bilancio consolidato particolari problematiche non si pongono, essendo essa oggettivamente ravvisabile, le “particolari esigenze” richiedono maggior attenzione da parte dell’organo amministrativo, in quanto rimesse alla sua discrezionale valutazione in ragione delle concrete circostanze societarie. Tali particolari esigenze possono essere collegate alla complessità della struttura della società, cioè l’organizzazione e le modalità di svolgimento dell’impresa, oppure alla particolarità dell’oggetto sociale, cioè l’attività aziendale svolta. Si pensi ai casi di società caratterizzate per una struttura articolata in più sedi distaccate in Italia e all’estero con una contabilità autonoma, oppure di società che devono procedere a valutazioni articolate a seguito di operazioni societarie di carattere straordinario, oppure ancora di imprese di costruzione o di impiantistica che presentano rilevanti lavori in corso a cavallo tra due esercizi, per i quali necessitano di acquisire stati di avanzamento lavori in contradditorio con la stazione appaltante[2].
In ultimo, va posta attenzione sulle conseguenze derivanti dal mancato rispetto dei termini disposti per la convocazione dell’assemblea chiamata ad approvare il bilancio di esercizio. A tal riguardo si riporta qui la sentenza del Tribunale di Napoli del 19 settembre 2007[3] nella quale, in linea con l’orientamento giurisprudenziale fortemente maggioritario[4], si afferma che “La violazione del termine di convocazione dell'assemblea di approvazione del bilancio d'esercizio non costituisce motivo di annullamento della relativa delibera. Il termine contemplato dall'art. 2364 c.c. risponde, infatti, a finalità di accelerazione della condotta degli amministratori; la sua inosservanza, quindi, non esonera questi ultimi dall'obbligo di redigere il bilancio e di convocare l'assemblea dei soci”. Ciò significa quindi che, se la delibera di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci avviene oltre i termini succitati, essa non diviene illegittima, in quanto tali termini non hanno natura perentoria, né dilatoria, ma soltanto “acceleratoria”: la ratio dell’introduzione di un termine massimo di approvazione è quella di limitare il più possibile l’incertezza temporale relativa alle esecuzioni delle formalità procedurali in capo agli amministratori al fine di tutelare il diritto degli stakeholder alla conoscenza delle vicende patrimoniali, economiche e finanziarie della società.
Concludendo, le conseguenze delle violazioni dei termini in esame investono unicamente chi deve convocare l’assemblea nel rispetto delle tempistiche, cioè gli amministratori e, in loro supplenza, i sindaci. In particolare, esse possono consistere:
[1] Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 15 del 09 dicembre 2003, disponibile sul sito internet www.consiglionotarilemilano.it.
[2] Per una casistica più ampia di “particolari esigenze” si veda Filippo Cesaris e Lukas Plattner, “I termini per l’approvazione del bilancio d’esercizio nelle società di capitali”, Bilancio e reddito d’impresa, 5/2010, p. 53.
[3] In Le Società, 4/2008, p. 475, c. nota di D. Fico.
[4] Si vedano ad esempio: Cass. 14 agosto 1997, n. 7623; App. Napoli 11 aprile 1984.
a cura di:
dott.ssa Elisa Pistore
pubblicato su:
C&S Informa, volume 12, numero 4 anno 2011