Sintesi della relazione tenuta in occasione del Convegno presso Confindustria Modena del 5 ottobre 2011 “Impresa modenese oggi: tra equilibri aziendali e sistemazioni familiari”
La successione generazionale in azienda e, più in generale, le sistemazioni familiari che coinvolgono l’impresa, sono stati oggetto in tempi recenti di ampi dibattiti focalizzati sui diversi aspetti che caratterizzano questi fenomeni. Si è discusso delle implicazioni sociali e psicologiche con riguardo ai soggetti coinvolti, degli strumenti tecnici disponibili per realizzare in modo efficiente gli obiettivi divisionali, tenuto conto delle problematiche civilistiche e fiscali, nonché degli impatti economici e finanziari nella gestione dell’azienda oggetto di assegnazione e/o di riorganizzazione.
I significativi cambiamenti dell’economia e della finanza mondiale a partire dal 2008 hanno però influenzato molte delle variabili che normalmente connotano i processi di ristrutturazione societaria e quindi anche quelli finalizzati alle sistemazioni familiari. In particolare un nuovo elemento si è aggiunto condizionando in modo determinante le scelte e provocando una accelerazione dei processi di successione generazionale, così come di divisione nelle imprese gestite da più rami della medesima famiglia: l’incertezza delle prospettive in un contesto che vede svilite le “regole del gioco” e messe in dubbio le leve di crescita dei Paesi arrivati ad un avanzato grado di maturità economica.
Se fenomeni come la globalizzazione, insieme alla forte crescita della tecnologia applicata, e la conseguente evoluzione esponenziale nella cultura d’impresa degli ultimi anni avevano di per sé costituito un incentivo al ricambio nella guida delle aziende, la nuova situazione congiunturale vissuta come uno stato di difficoltà, non governabile negli effetti e, soprattutto, nella durata, ha provocato un forte senso di inadeguatezza e di sfiducia in molti imprenditori. All’interno delle imprese familiari si è quindi accresciuto il divario tra i “pessimisti” e gli “ottimisti”, intesi questi ultimi come coloro che vedono, con gli opportuni correttivi, la possibilità di continuare il business superando l’attuale fase di declino e quindi l’esigenza di sistemazioni familiari anche con uscite di soggetti o spartizioni di rami di attività.
La generale situazione di crisi congiunturale (o post industriale) e dei mercati finanziari ha inciso fortemente sul rapporto banca/impresa che, per quanto attiene ai temi legati alla ristrutturazione dei Family Business, diventa un aspetto se non determinante, di crescente importanza rispetto al passato.
Per gli istituti di credito già dal 2007 la situazione di instabilità è stata innescata dai noti problemi legati al mercato dei “subprime”, che hanno messo a nudo un sistema caratterizzato da un uso aggressivo della leva finanziaria. A questo si è associata la crescita dei crediti “problematici” in portafoglio e previsioni di drastica riduzione della redditività degli investimenti rispetto ai livelli pre-crisi. Nello stesso tempo il mondo del credito ha dovuto adeguarsi ad importanti regole di condotta a tutela del risparmio di respiro europeo sotto il controllo di Banca d’Italia (BASILEA 2 ed, in futuro, BASILEA 3). E’ ad evidenza di tutti il cambiamento di approccio nei rapporti di affidamento legato alle nuove modalità di valutazione del merito creditizio introdotte da BASILEA 2. L’applicazione del nuovo insieme di disposizioni operative e le citate problematiche interne agli istituti, cui si associano anche gli effetti della generalizzata crisi di fiducia che condiziona le relazioni interbancarie, comportano restrizioni nelle erogazioni di finanza ed incrementi del pricing.
Se le modalità di concessione di finanza si sono modificate è invece rimasto immutato fino ad ora il rapporto banca/impresa in termini di asimmetria informativa. Si continua ad assistere all’assenza di una banca di riferimento per l’azienda, per privilegiare invece una più o meno marcata frammentazione nell’utilizzo degli istituti, con conseguente poca conoscenza e scarso coinvolgimento da parte di questi nelle scelte gestionali.
In un quadro contraddistinto anche da continue modifiche normative in ambito fiscale, collegate alle esigenze di gettito a fronte del crescente indebitamento statale, le ristrutturazioni societarie devono quindi essere decise e gli strumenti per realizzarle individuati.
Tra gli aspetti che assumono rilievo pratico, riguardando ancora una volta anche il rapporto banca/impresa, pare opportuno segnalare la normativa antiriciclaggio prevista dalla Direttiva 2005/60/CE, recepita dall’Italia con il Dlgs 231/2007, che prevede per gli intermediari finanziari l’obbligo di individuazione (dal 2007) e registrazione nell’archivio unico informatico (dal 2010), del titolare effettivo dell’operazione in esame, con possibilità di accesso all’informazione da parte degli uffici tributari. Senza pretesa di approfondimento di questa materia appare intuitivo quanto l’attività istruttoria delegata agli istituti di credito e le conseguenze di questa possano essere penetranti ed influenzare le operazioni di sistemazione che coinvolgano strutture estere, soprattutto nei casi in cui queste siano state gestite in passato senza la necessaria trasparenza.
Come già evidenziato, seppure la presenza o meno di garanzie condizioni ancora pesantemente il processo di erogazione del credito, l’attenzione dei finanziatori si è decisamente concentrata sul rating dell’azienda o del gruppo cui la stessa appartiene e quindi sulla valutazione delle prospettive in termini di capacità di produzione di reddito e non solo, ma anche di mantenimento nel tempo di un adeguato rapporto tra fonti di finanziamento e capitale proprio. Gli istituti di credito sono oggi maggiormente focalizzati rispetto al passato sulla “solvibilità” del business, considerata in termini quali-quantitativi. Vi è infatti interesse (che sarà crescente anche a seguito dell’applicazione di BASILEA 3) con riguardo alla stabilità della figura dell’imprenditore e dei manager, così come alle performance aziendali messe in stretta correlazione con agli affidamenti concessi sulla base di specifici coefficienti di rischio, tenuto conto della onerosità delle risorse mutuate.
Per contro nelle imprese, caratterizzate spesso in Italia da una forte propensione all’utilizzo di leva finanziaria, le esperienze vissute dal 2008 in fase di approvvigionamento di risorse finanziarie hanno presto messo a nudo la necessità di governare il business: a) utilizzando in modo più severo le regole della gestione delle fonti e degli impieghi mediante una prudente programmazione, con particolare riguardo alla valutazione degli impatti degli investimenti rispetto ai flussi previsti ed ai rischi di cambiamento di scenario (con utilizzo di stress test); b) tenendo in considerazione la necessità di mantenere o raggiungere un adeguato rapporto tra mezzi propri e debito finanziario; c) approntando, mantenendo e gestendo in modo efficiente e stabile nel tempo il sistema delle garanzie a favore di terzi finanziatori.
Per quanto sopra illustrato, le ristrutturazioni societarie, siano esse dettate da esigenze strategiche di riposizionamento del business, così come nei casi di sistemazione con ricollocamento (divisione di attività) o fuoriuscita di membri della famiglia, possono avvenire oggi senza alterare gli equilibri nei rapporti con gli istituti di credito solo nel rispetto dei vincoli che discendono dal nuovo modo di valutazione del merito creditizio, che diventano particolarmente pesanti nelle situazioni, frequenti in questo periodo, in cui l’impresa abbia in corso dei processi di ridefinizione del debito finanziario di tipo quali-quantitativo (modifica forme tecniche di finanziamento, consolidamento, accesso a “nuova finanza”), con o senza utilizzo dei nuovi strumenti introdotti dalla Riforma della Legge fallimentare (piani attestati ex art. 67, comma terzo, lett. d) L.F. e accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, L.F.).
Per questo, anche nei casi in cui l’iter divisionale, pur non comportando esborsi finanziari, preveda l’attribuzione di asset che fuoriescono dal “perimetro aziendale”, quali ad esempio, la revisione delle catene partecipative societarie e la ricollocazione secondo nuove logiche strategiche, la sensibilità nella costruzione di un adeguato percorso presuppone la valutazione degli effetti di eventuali operazioni straordinarie in termini di compatibilità rispetto alle garanzie prestate e, comunque, tenendo presente l’equilibrio della struttura finanziaria e patrimoniale dell’azienda o del gruppo di appartenenza. Ciò si verifica anche nei casi in cui le modifiche nell'architettura del sistema di partecipazioni societarie avvengano nella sfera internazionale, divenendo importanti le interrelazioni finanziarie tra le società affiliate, così come il mantenimento di eventuali asset o impegni di garanzia.
E’ opportuno ancora una volta sottolineare che la validità di un progetto di rivisitazione dell'articolazione del governo e dell’assetto proprietario societario o del gruppo nel suo insieme deve essere testata tenendo conto degli effetti che produrrà nel tempo e quindi trovando conforto nella verifica della sua tenuta nell’ambito di un business plan redatto in modo tecnicamente stringente e coerente sia rispetto al passato che alle attese del segmento di mercato cui l’azienda fa riferimento.
La vischiosità nella separazione delle attività e dei patrimoni diventa una forte limitazione tipicamente nei passaggi generazionali posto che, molto spesso, si presentano casi in cui il fondatore aveva originariamente ipotizzato una costruzione giuridica destinata a tenere unita la famiglia nel governo dell’impresa e nel godimento dei beni, senza immaginare l’esigenza sopravvenuta di separare attività e/o assegnare beni in un contesto e secondo dinamiche diverse da quelle originarie.
La necessità degli istituti di selezionare gli impieghi, diversamente da quanto accadeva in passato, rende altresì attualmente più difficile un percorso di divisione che presupponga la raccolta e l’utilizzo di “nuova finanza” proveniente dal sistema creditizio. Si pensi alle operazioni di family buy-out realizzate attraverso indebitamento bancario di una società destinata ad acquisire quote della società target appartenente alla famiglia ed, in genere, alle operazioni realizzate con utilizzo di leva finanziaria, un tempo concessa senza particolari vincoli; allo stesso modo alle ipotesi di liquidazione del socio uscente (“replacement capital”), ad esempio mediante acquisizione di azioni proprie con risorse derivanti da finanziamenti “dedicati”. Alle condizioni attuali del mercato finanziario incontrano limiti e criticità anche le operazioni di ricapitalizzazione da parte dei soci con risorse esterne per realizzare diluizioni e rimescolamenti negli assetti proprietari. L’attuale frequente “burocratizzazione” in fase istruttoria e l’onerosità crescente in sede di approvvigionamento dei mezzi finanziari possono essere infatti elementi determinanti di dissuasione per i soci potenzialmente interessati.
Esperienze anche recenti evidenziano per le operazioni sul capitale un ruolo importante del private equity, con casi frequenti in cui il nucleo originario accetta di restare in posizione non più dominante favorendo però gli investimenti e lo sviluppo del business, sfruttando nuove opportunità e aperture in nuovi mercati. I vantaggi indubbi dell’ingresso di realtà finanziarie professionali si sintetizzano nel miglioramento dei ratio aziendali (rapporto equity/capitale di rischio) e quindi di accesso al sistema creditizio, nella possibilità di investimento, sviluppo e “managerializzazione” aziendale. Per contro, di regola, la coesistenza con soci finanziari, anche nei casi di partecipazione di minoranza, non è vissuta bene dall’imprenditore e dai giovani familiari destinati in futuro a ruoli direttivi; a questo si aggiungono compensi di “uscita” importanti, in orizzonti temporali di breve termine.
In presenza di una forma di pianificazione adeguata, l’esigenza di procedere con una ristrutturazione societaria nell’ambito di una sistemazione familiare si scontra comunque con criticità laddove si sia in presenza di finanziamenti (da singole banche o in pool) regolati da clausole tipiche a tutela della stabilità del rapporto con gli istituti finanziatori.
Nelle fattispecie caratterizzate da operazioni di finanza di medio periodo vincoli di questo genere possono essere presenti anche in situazioni ordinarie (gestione in equilibrio) o nell’ambito di ristrutturazioni del debito in bonis (riposizionamento del debito); l’architettura della sistemazione familiare quindi deve tenere conto di questo aspetto, posto che le clausole nei contratti di finanziamento inserite allo scopo di controllo e mantenimento delle garanzie per l’istituto erogante si accompagnano normalmente a previsioni di risoluzione del rapporto ai sensi dell’art. 1456 del Codice Civile o di decadenza del termine, con richiamo espresso all’art. 1186 del Codice Civile, nel caso in cui vengano disattese.
Prima di esaminare i parametri di natura economica-finanziaria-patrimoniale (cosiddetti covenants finanziari) e le altre clausole di salvaguardia pro-istituto è opportuno ricordare che i contratti di finanziamento contengono di regola obblighi di informativa che si sostanziano nella produzione con cadenze preordinate di documentazione contabile integrativa dei bilanci depositati (report gestionali di vario genere), ma prevedono anche un generale diritto di conoscenza di fatti di rilievo per la gestione dell’azienda che possano modificare il grado di solvibilità e/o il sistema delle garanzie esistente al momento della stipula del contratto. I vincoli di natura informativa/gestionale si amplificano ulteriormente nei casi in cui a garanzia delle somme erogate siano stati posti dei gravami (es. pegno) su azioni o quote della società beneficiarie con correlati diritti amministrativi e/o economici a favore dell’istituto erogante. La presenza di obblighi di informativa presuppone che il progetto di sistemazione familiare avvenga coinvolgendo l’ente finanziatore prima di procedere negli step previsti.
L’inserimento nei contratti di covenants finanziari si sostanzia nell’individuazione di grandezze di riferimento quali indicatori di stabilità (parametri soglia di equilibrio finanziario e patrimoniale) al superamento dei quali si producono degli effetti contrattuali predefiniti. Nei contratti in bonis ci si limita in genere ad individuare un livello di indebitamento rispetto ai mezzi propri, al modificarsi del quale scattano nuove regolamentazioni del rapporto, normalmente con modifiche dell’onerosità dello stesso; oltre certi limiti si determina il diritto in capo all’istituto di chiedere la risoluzione del contratto. Vedremo più avanti come, nelle situazioni caratterizzate da squilibri finanziari, e quindi in presenza di interventi di ristrutturazione dei debiti, la numerosità e l’articolazione dei convenants sia maggiore e gli effetti della “rottura” di uno o più covenant più rilevante rispetto alla tenuta contrattuale.
I parametri finanziari devono essere tenuti in considerazione ai fini della valutazione del processo di ristrutturazione societaria in genere e di sistemazione familiare nello specifico, anche in considerazione del fatto che le formule rinvenibili nei term sheet prevedono di frequente l’inclusione nel capitale proprio delle voci di indebitamento verso soci (finanziamenti-obbligazioni etc.), condizionandone l’utilizzo per finalità esterne al compendio aziendale. Altre clausole usuali dei contratti di finanziamento possono costituire veri e propri impedimenti anche solo nell’effettuazione di operazioni di assestamento preliminari e/o strumentali all’organizzazione del processo divisorio.
Si pensi alle previsioni che impediscono o limitano negli importi la concessione di finanziamenti o garanzie a società del gruppo o a favore di terzi nell’interesse delle stesse, senza il preventivo assenso dell’istituto erogante.
Si è detto degli oneri di informativa che caratterizzano i contratti in esame; in taluni casi questi si sostanziano nell’obbligo di comunicazione preventiva dell’intenzione di richiedere l’accensione di nuovi finanziamenti presso istituti di credito o privati o comunque concedere a terzi garanzie reali o di firma se non estendendole in pari grado all’istituto erogante (“pari passu”). Questa clausola spesso viene preceduta dall’impegno contrattuale più generale di non costituire privilegi, pegni o ipoteche su beni di proprietà o qualsivoglia diritto di prelazione e/o preferenza sui crediti, diversi dalle garanzie prestate con riferimento al mutuo oggetto del contratto (“negative pledge”).
Sempre nell’ottica di mantenimento all’interno del compendio aziendale delle risorse finanziarie necessarie al rimborso delle somme mutuate si colloca l’impegno alla postergazione dei finanziamenti soci rispetto alla soddisfazione delle ragioni creditorie dell’istituto erogante (anche nelle ipotesi in cui i finanziamenti siano in forma di prestiti obbligazionari semplici o convertibili, con l’implicita necessità in questi casi di modifica del regolamento del prestito). In coerenza con gli obiettivi appena richiamati è la previsione di non procedere alla distribuzione di utili, senza il preventivo consenso dell’istituto, con obbligo di raccolta dell’impegno anche da parte dei soci.
Particolarmente pervasive con riguardo alla possibilità di ridefinizione degli assetti societari (nel caso, ad esempio, di creazione di holding “cassaforte” di famiglia) sono la “change of ownership clause” e “change of control clause”, finalizzate a stabilizzare per la durata del finanziamento la compagine societaria, mediante la previsione di un obbligo di richiesta dell’impegno formalizzato dei soci a mantenere immutata la propria partecipazione nel capitale.
Nella valutazione degli strumenti disponibili per realizzare sistemazioni familiari con operazioni compensative crea forti condizionamenti un’altra clausola tipica dei contratti di finanziamento: la “no disposal of asset clause”. Trattasi dell’impegno richiesto al debitore (società o gruppo societario) di astenersi dal porre in essere atti di disposizione di qualsiasi genere aventi ad oggetto asset immateriali e materiali (beni mobili, immobili, rami d’azienda, partecipazioni, marchi, brevetti, diritti di know how etc.); talvolta la clausola è riferita solo all’ipotesi di cessione, altre ad ogni atto che comporti una limitazione nel godimento dei beni sociali, con o senza limite di importo.
Se nei casi di società in equilibrio finanziario, la conoscenza delle problematiche appena richiamate è utile per verificare la fattibilità di un processo strategico di sistemazione aziendale, non essendo esclusa la possibilità di condividere con gli istituti di credito un percorso ed ottenere l’autorizzazione a seguirlo, nelle ipotesi di società o gruppi interessati da ristrutturazioni dei debiti formalizzate in convenzioni redatte ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lett. d) L.F. (c.d. piani attestati di risanamento) e 182 bis L.F. (accordi di ristrutturazione dei debiti), i vincoli ed i condizionamenti alla progettazione ed esecuzione di riorganizzazioni societarie in genere, arrivano ad un punto di rigidità quasi insormontabile.
L’esame di modelli di convenzioni bancarie utilizzati in attuazione di piani di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti evidenzia in primo luogo un appesantimento degli obblighi di informativa ai finanziatori (diretta o per tramite della Banca Agente) ed, in molti casi, di garanzia di mantenimento e/o di integrazione dei ruoli chiave aziendali.
I covenants diventano i binari entro i quali il business plan deve necessariamente svilupparsi nel periodo di riferimento e segnano i limiti minimi delle performance economiche (margini ritraibili) e finanziarie (in termini di flussi a servizio del debito e di struttura di indebitamento) al di sotto dei quali l’accordo può prevedere modifiche automatiche fino al disimpegno del ceto creditizio.
Le clausole limitative in precedenza analizzate compaiono in queste fattispecie con formulazioni più stringenti; di frequente non sono previsti limiti di ammontare ed è esclusa possibilità di ottenere autorizzazioni alla realizzazione di operazioni straordinarie, se non attraverso la rinegoziazione dell’accordo complessivo sottoscritto con gli istituti interessati.
La gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa o del gruppo societario coinvolto deve essere modellata in coerenza con il piano pluriennale, completo della manovra finanziaria concertata con gli istituti di credito, presentato ed approvato nelle sue parti qualitative (inclusive dell’indicazione delle operazioni straordinarie) e quantitative (impatto economico-finanziario-patrimoniale del piano nell’orizzonte temporale necessario per il riequilibrio gestionale). Difficilmente vi è spazio per inserire l’attuazione di processi di sistemazione familiare, a meno che il turnaround in atto preveda la sostituzione di una o più figure chiave cui viene addebitato il declino aziendale e che queste corrispondano a componenti del nucleo familiare di riferimento per la governance della società o del gruppo. Si tratta però di situazioni limite e che, normalmente, non si realizzano con l’assegnazione di “premi di uscita” per i soggetti che si ritirano dal business.
In conclusione, a fronte di una fisiologica necessità di modellare nel tempo i meccanismi di governo e di detenzione degli assetti proprietari nei Family Business, un evidente elemento di criticità crescente è rappresentato dai condizionamenti derivanti dai rapporti di finanziamento in corso con gli istituti di credito. Le ristrutturazioni societarie ed, in genere, le operazioni finalizzate a modificare gli equilibri familiari nelle aziende devo infatti oggi più che in passato tenere conto dei vincoli, della rischiosità e della onerosità connessa all’utilizzo delle risorse finanziarie, oltre che della necessità di rispettare la struttura delle garanzie impostata nell’interesse degli enti finanziatori. Gli strumenti per realizzare gli obiettivi ci sono e sono utilizzabili soprattutto se l’impresa si trova in condizioni di equilibrio economico-finanziario attuale e prospettico. Le strategie di pianificazione familiare devono partire da lontano e tenere conto dei nuovi vincoli, eliminando le asimmetrie informative attraverso una maggiore trasparenza rispetto al passato nei confronti degli istituti di credito, nella speranza di potersi attendere da questi una accresciuta capacità di conoscenza dei meccanismi aziendali e di lettura delle variabili strategiche, alla base della crescita e dello sviluppo dell’impresa.
a cura di:
dott. Gianfranco Peracin
pubblicato su:
C&S Informa, volume 12, numero 7 anno 2011