La Legge di Stabilità 2015 (L. 23 dicembre 2014, n.190) ha introdotto un regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi ritraibili da alcuni beni immateriali. A poche settimane di distanza il c.d. Investment Compact (D.L. 24 gennaio 2015, n. 3) ha apportato qualche modifica alla disciplina. Questa agevolazione, che comporta, come vedremo meglio nel prosieguo, una sostanziale detassazione del 50% dei redditi derivanti dai predetti beni, ha certamente catturato l’attenzione delle imprese italiane. Per dare il via alla misura agevolativa si attende ora l’emanazione di un apposito decreto interministeriale che ne individui le disposizioni attuative.
Come si evince dalla Relazione Illustrativa alla Legge di Stabilità 2015, questa normativa è finalizzata in primo luogo al rimpatrio di beni immateriali collocati all’estero da imprese italiane ed estere e ad incentivare il mantenimento di tali beni in Italia (ed evitare, pertanto, la loro riallocazione all’estero), ed in seconda istanza a favorire l’investimento in attività di R&S. E’ noto, infatti, che i beni immateriali sono fattori produttivi caratterizzati da un’elevata mobilità, peraltro consentita in sostanziale esenzione d’imposta in ambito comunitario, tanto che in passato diversi gruppi hanno adottato strategie di tax planning volte a localizzare gli intangibles (o i diritti di sviluppo e di sfruttamento degli stessi) in Paesi che garantivano una tassazione inferiore.
In diversi Stati europei sono stati introdotti, per le medesime finalità, dei regimi fiscali agevolativi per il reddito derivante dall’utilizzazione dei beni immateriali che vanno sotto il nome di Patent Box. Il fatto che anche in Italia veda la luce un regime similare risponde anche all’esigenza di ridurre il gap esistente tra il nostro Paese e gli altri Stati comunitari che hanno già introdotto regimi di Patent Box (come per esempio Paesi Bassi, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Belgio).
I beneficiari del nuovo regime sono tutti i titolari di reddito d’impresa residenti in Italia oppure residenti in altri Paesi con i quali siano stati stipulati accordi contro la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo.
Oggetto dell’agevolazione sono i redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da marchi d’impresa (anche se esclusivamente commerciali, come previsto dall’Investment Compact), da disegni e modelli nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico, giuridicamente tutelabili. Si tratta quindi di beni immateriali non necessariamente registrati, ma suscettibili di tutela legale nel nostro Paese. Sono agevolati sia i redditi derivanti dalla concessione in uso a terzi dei predetti beni, in cambio di un corrispettivo, sia i redditi che discendono da un loro utilizzo diretto. In tal caso è previsto che per determinare i componenti positivi implicitamente riferibili al bene immateriale e i componenti negativi relativi ai predetti componenti positivi si debba attivare una procedura di ruling con l’Agenzia delle Entrate secondo quanto previsto dall’art. 8 del D.L. 269/2003, modello già utilizzato in materia di transfer pricing. La procedura si chiude con un accordo tra contribuente ed Ufficio con il quale si cristallizza il reddito che potrà essere oggetto di agevolazione. Una prima stesura della norma prevedeva che la procedura di ruling fosse obbligatoria anche qualora i redditi derivassero dalla concessione in uso dei beni a società del medesimo gruppo, mentre ora, alla luce delle modifiche apportate dall’Investment Compact, in questo caso specifico la procedura di ruling è divenuta facoltativa.
La decorrenza delle disposizioni in esame è il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31.12.2014, quindi, a condizione di veder approvato a breve il decreto attuativo, potrebbe già interessare i bilanci 2015.
L’agevolazione consiste in un’esclusione dal reddito imponibile IRES e dalla base imponibile IRAP per il 50% dell’ammontare dei redditi derivanti dagli intangibles (ridotto al 30% per il 2015 ed al 40% per il 2016) e si applica a condizione che vengano svolte attività di ricerca e sviluppo anche mediante contratti di ricerca stipulati con terzi (diversi dalle società del gruppo) o università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzate alla produzione dei beni immateriali oggetto della presente disciplina. La scelta di subordinare il beneficio all’effettuazione di attività di R&S in relazione al bene immateriale è legato a quanto dettato dall’OCSE[1]: questo organismo infatti prevede che i regimi di Patent Box per non essere considerati pratiche fiscali dannose debbano soddisfare un requisito di attività sostanziale di R&S (c.d. nexus approach).
Passiamo ora a vedere quale sia la formula attraverso la quale si quantifica l’agevolazione spettante. Al fine di trasfondere nella norma la valorizzazione di questo “nesso” tra agevolazione del reddito ritraibile da beni immateriali e attività di ricerca e sviluppo, la legge prevede che per determinare la ripresa in diminuzione dal reddito imponibile venga applicata una percentuale del 50% (ridotta, come anticipato, al 30% per il primo periodo d’imposta dall’entrata in vigore della norma e al 40% per il successivo) al reddito derivante dall’utilizzo del bene immateriale, moltiplicato per un rapporto dove al numeratore troviamo i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale e al denominatore i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene, ivi compresi i costi di acquisto e gli addebiti da parte di altre società del gruppo. Ciò sta a significare che maggiori sono i costi di R&S in rapporto ai costi complessivi riferibili al bene immateriale, più tende ad 1 il rapporto e quindi più la ripresa in diminuzione si avvicina al 50% pieno del reddito derivante dall’utilizzo del bene. Per contro, maggiori sono i costi di produzione del bene diversi dalla R&S, minore risulta l’agevolazione spettante. Si segnala che la norma, così come modificata dall’Investment Compact, stabilisce che il numeratore del rapporto sia aumentato dei costi sostenuti per l’acquisizione del bene immateriale o per contratti di ricerca, relativi allo stesso bene, stipulati con società del gruppo, fino a concorrenza del 30% dei costi di attività di R&S sostenuti (internamente o in outsourcing extra-gruppo) per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo dell’intangible. Si noti che queste stesse voci sono contenute al 100% al denominatore.
Si è in attesa di conoscere quale sarà l’orizzonte temporale cui fare riferimento per assumere i dati da inserire in questo conteggio. Rileveranno le spese sostenute in che periodo? e per contro, considereremo i redditi conseguiti in che periodo? Con il decreto attuativo si riuscirà a dare risposta a queste domande.
Al meccanismo appena illustrato si aggiunge un’ulteriore agevolazione che consiste nella detassazione integrale dei redditi derivanti dalla cessione dei beni sopra elencati, a condizione che entro la fine del secondo periodo d’imposta successivo alla cessione, almeno il 90% del corrispettivo[2] sia reinvestito nella manutenzione e sviluppo di altri beni immateriali agevolabili.
Il Governo sponsorizza la nuova norma come “una potente misura di attrazione di investimenti qualificati nella valorizzazione del capitale immateriale, dei marchi e dei modelli industriali, facendo del nostro Paese una potenziale piattaforma per investimenti ad alto contenuto di conoscenza”[3]. Al di là dei proclami, si potrebbe effettivamente trattare di un’agevolazione interessante. Per avere un quadro definitivo del meccanismo non resta che attendere l’emanazione del decreto non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, con cui il comma 44 della Legge di Stabilità 2015 prevede che debbano essere adottate le disposizioni attuative.
[1] Bozza di “Agreement on modified Nexus approach for IP regimes”, OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project
[2] In occasione dell’evento “Telefisco” organizzato da Il Sole 24 Ore l’Agenzia ha chiarito che per accedere al beneficio sulla cessione dei beni deve essere reinvestito almeno il 90% del corrispettivo propriamente detto, e non il 90% della sola plusvalenza realizzata
[3] Verbale del Consiglio dei Ministri n.45 del 20 gennaio 2014, ore 15.45 reperibile sul sito www.governo.it
a cura di:
dott.ssa Rita Nalli
pubblicato su:
C&S Informa, volume 16, numero 1/2015