Con la Legge n. 20 del 3 marzo 2009 si è dato corso ad un accordo siglato nel 1999 tra i Governi italiano e statunitense, che andrà a sostituire le disposizioni di cui alla precedente versione della Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni Italia – Usa, risalente al 1984.
L’effettiva entrata in vigore della nuova Convenzione, avvenuta il 16 dicembre 2009, è stata comunicata dagli Affari esteri con una pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2010: l’efficacia generale delle nuove disposizioni inizia dal primo gennaio 2010 (“periodi d’imposta che iniziano il, o successivamente al, primo gennaio successivo alla data in cui la presente Convenzione entra in vigore” - art. 28), ad eccezione delle norme sulle imposte alla fonte, applicabili a partire dal primo giorno del secondo mese successivo all’entrata in vigore della disciplina convenzionale (primo febbraio 2010). Il precedente Trattato potrà comunque essere utilizzato per un periodo di dodici mesi dal momento in cui avrà effetto la nuova versione (che decorre da ciascuna delle due date), qualora attribuisca al soggetto interessato un trattamento più favorevole (in virtù della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 28 della Convenzione, c.d. “grandfathering provision”).
Negli Stati Uniti la procedura di ratifica si è conclusa in termini molto più rapidi rispetto all’Italia, dato che il Senato americano già nel 1999 ha approvato una risoluzione interna relativa alla Convenzione.
Il nuovo testo non si allontana radicalmente dalla precedente versione, aggiornando alcuni profili riguardanti le imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, l’imposta regionale sulle attività produttive per l’Italia e l’imposta federale sul reddito per gli Stati Uniti. L’Irap, ai fini dell’applicazione della Convenzione, è considerata soltanto per la parte che colpisce il reddito, con l’obiettivo di neutralizzare le distorsioni derivanti dal fatto che gli interessi passivi e il costo del lavoro non sono deducibili dalla base imponibile propria di tale imposta (art. 2).
Si riepilogano le principali novità:
La nuova Convenzione, al fine di risolvere il problema della concreta applicabilità della procedura amichevole (art. 25), ha introdotto lo strumento dell’arbitrato, consigliato a livello Ocse nei casi in cui gli Stati non riescano a risolvere dubbi e difficoltà derivanti dall’interpretazione o dall’applicazione delle pattuizioni convenzionali. Da segnalare, infine, l’importante previsione della clausola generale anti abuso (“limitation on benefits”) diretta a negare i benefici convenzionali ai soggetti che pongano in essere comportamenti diretti al “treaty shopping [2]”: la Convenzione, infatti, adotta l’espressione beneficiario effettivo (“beneficial owner”). Tale scelta è manifestazione del principio generale della prevalenza della sostanza sulla forma, che, con l’obiettivo di determinare quale trattamento tributario applicare ad una determinata fattispecie, impone di fare riferimento ai risultati economici concreti perseguiti più che alle vesti giuridiche utilizzate.
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[1] La Convenzione non fornisce un’autonoma nozione di residenza, ma rimanda alla legislazione degli Stati contraenti. Pertanto, è residente in uno Stato contraente chi, in base alla legislazione tributaria, ha la residenza nello Stato. Per quanto riguarda la stabile organizzazione, essa deve intendersi non soltanto come una sede fissa d’affari in cui l’impresa eserciti in tutto o in parte la propria attività, ma rileva anche il fatto che fornisca servizi o attrezzature utilizzate nello Stato che ha firmato l’accordo. La Convenzione stabilisce, altresì, che i redditi da beni immobili percepiti da un residente in uno Stato contraente, ma localizzati nell’altro Stato, sono imponibili in quest’ultimo mentre gli utili di imprese sono imponibili nello Stato di residenza dell’impresa. Tuttavia se l’impresa svolge la propria attività nell’altro Stato contraente con una stabile organizzazione, allora gli utili saranno imponibili in quest’ultimo, ma solamente quelli che derivano dalla stabile organizzazione. Per quel che concerne l’imponibilità dei dividendi societari, degli interessi e dei canoni, quest’ultima avviene solo nello Stato di residenza e secondo limiti specifici. Tali soglie sono applicabili solo se il percettore dei dividendi è l’effettivo beneficiario e risiede nell’altro Stato contraente. Se, al contrario, i beni sono ottenuti dal beneficiario tramite una stabile organizzazione, allora ricadranno nella normale tassabilità del suddetto Stato in base alla propria legislazione fiscale.
[2] Il “treaty shopping” è una tecnica che consiste nell’utilizzo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni al fine di trarne vantaggio sotto il profilo fiscale. E’ il caso di un soggetto residente in uno Stato terzo che cerca di beneficiare di un trattato concluso tra Stati diversi da quello in cui risiede, attraverso l’interposizione di un ulteriore soggetto in uno degli Stati contraenti e, nel fare ciò, esamina i vantaggi e gli svantaggi connessi alle varie convenzioni esistenti e sceglie, infine, la combinazione più favorevole in relazione al tipo di operazione da porre in essere (pagamento di interessi e royalties, distribuzione di dividendi). L’obiettivo di questa pratica è quello di sfruttare la diversa qualificazione di un certo reddito, in modo da ottenere o la completa esenzione o un sensibile risparmio d’imposta.
a cura di:
dott. Gianfranco Peracin
pubblicato su:
C&S Informa, volume 11, numero 1 anno 2010