Nell’ambito del reddito d’impresa la cessione di partecipazioni in società di capitali e di persone “commerciali” (S.a.s. e S.n.c.) genera plusvalenze imponibili che, a determinate condizioni, possono fruire di un regime agevolativo di parziale detassazione, denominato participation exemption (cd. PEX)[1]. La PEX riveste un’importanza centrale nell’ambito dell’attuale sistema fiscale e, per tale ragione, nel corso del tempo è stato oggetto di molteplici approfondimenti in merito ai requisiti di accesso all’agevolazione e ai meccanismi applicativi. In passato l’Agenzia delle Entrate ha emanato una corposa circolare[2] contenente un’analisi sistematica dell’argomento in esame, seguita di recente da una nuova consistente circolare[3], che in questa sede si intende commentare poiché riporta interessanti chiarimenti a integrazione e, in taluni casi, in superamento degli orientamenti già espressi nei precedenti interventi.
In premessa giova rammentare che l’introduzione della PEX e della detassazione parziale dei dividendi distribuiti risalgono alla riforma del sistema fiscale statale[4], la quale si è caratterizzata da un nuovo assetto dei rapporti tra fiscalità delle società e dei soci, basato sul criterio di tassazione definitiva del reddito al momento della sua produzione e non all’atto della sua distribuzione. In questa logica, entrambi gli istituti citati rispondevano al fine di evitare la doppia tassazione del reddito prodotto. La PEX in particolare mirava altresì al duplice obiettivo di eliminare lo svantaggio competitivo delle imprese nazionali rispetto a quelle residenti in stati esteri, anche dell’Unione Europea, che già da tempo fruivano di analoghi meccanismi agevolativi, e di incentivare i trasferimenti di aziende tramite cessione di partecipazioni societarie in alternativa alla cessione diretta, fiscalmente molto più onerosa poiché comportante l’imposizione dei plusvalori latenti sugli asset aziendali inespressi dai valori contabili (quali in primis l’avviamento). Tuttavia, il beneficio fiscale è riservato alla circolazione di aziende commerciali e industriali, produttrici di “ricchezza dinamica”, tassabile con cadenza periodica, mentre è precluso alle aziende produttrici di “ricchezza statica”, tassabile tendenzialmente solo in fase di dismissione degli asset (quali tipicamente le società immobiliari e quelle esercenti attività non commerciali).
In secondo luogo è opportuno evidenziare che l’accesso alla PEX è consentito solo in presenza dei seguenti requisiti tra loro concomitanti (i primi due soggettivi, da verificarsi in capo all’impresa che cede la partecipazione, i restanti oggettivi, da verificarsi in capo alla società la cui partecipazione è ceduta):
a) ininterrotto possesso della partecipazione dal primo giorno del dodicesimo mese precedente a quello dell’avvenuta cessione;
b) iscrizione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
c) residenza fiscale della società partecipata in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata;
d) esercizio da parte della società partecipata di un’attività commerciale o industriale.
I requisiti di cui alle lettere c) e d) devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso.
Nella circolare qui in commento l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in ordine ai seguenti temi:
Per ragioni di brevità in questa sede si focalizzerà l’attenzione su i primi due punti, rimandando a un successivo intervento gli ulteriori argomenti d’interesse.
Con riferimento al concetto di impresa commerciale, l’Agenzia chiarisce che la finalità della PEX è di favorire la circolazione di complessi patrimoniali che abbiano natura di vere e proprie aziende funzionali all’esercizio di attività di impresa. Il requisito di commercialità deve quindi essere individuato secondo criteri sostanziali, senza attribuire rilevanza al contenuto dell’oggetto sociale e alla qualifica formale attribuita all’attività esercitata. In tale contesto, si è quindi in presenza di “un’impresa commerciale” nel caso in cui:
Un’esplicita previsione di legge esclude dal regime PEX le partecipazioni in società aventi patrimonio prevalentemente immobiliare, per presunta assenza di commercialità. In linea con tale previsione, l’Agenzia delle Entrate ribadisce che il requisito di commercialità non sussiste in tutte le ipotesi di attività rivolte alla mera gestione passiva di asset da cui derivi la percezione di passive income. Si tratta di quei proventi ritraibili da beni dotati di un’autonoma capacità produttiva che, al fine di generare redditi, non richiedono necessariamente l’inserimento in un apparato organizzato di fattori produttivi costituenti un’azienda, quali tipicamente[5] quelli che derivano:
La commercialità dovrebbe verificarsi senza soluzione di continuità almeno nei tre periodi d’imposta antecedenti la cessione, ma l’Agenzia delle Entrate chiarisce che tale requisito può sussistere anche qualora si verifichi un’interruzione momentanea dell’attività, purché si mantenga quella struttura operativa che consenta all’impresa di riprendere il processo produttivo in tempi ragionevoli in relazione all’oggetto dell’attività d’impresa. Conseguentemente, qualora l’interruzione dell’attività derivi da un depotenziamento dell’azienda (ad esempio, a seguito di cessione di asset rilevanti, licenziamento di personale, conseguimento dell’oggetto sociale, ecc.), occorre valutare caso per caso se si configuri una situazione di “liquidazione di fatto”. Tale evento, al pari della liquidazione societaria normalmente formalizzata, comporta la necessità di verificare retroattivamente la presenza del requisito di commercialità facendo riferimento al momento di inizio della liquidazione medesima.
Le minusvalenze realizzate a seguito della cessione di partecipazioni prive dei requisiti PEX costituiscono componenti negativi di reddito integralmente deducibili. Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che sono passibili di sindacato dell’Amministrazione Finanziaria e disconoscimento in forza della norma generale anti-elusiva tutte le operazioni volte surrettiziamente a interrompere il possesso del requisito di commercialità all’unico scopo di ottenere minusvalenze deducibili, quali ad esempio l’affitto d’azienda immediatamente seguito dalla cessione di partecipazioni.
Con riferimento allo start up aziendale, l’Agenzia delle Entrate assume un orientamento estensivo, superando precedenti interventi di prassi[6]. Essa infatti riconosce che tale fase, individuata come quell’attività prodromica finalizzata all’allestimento della struttura organizzativa aziendale necessaria all’esercizio dell’attività, non solo costituisce un fattore essenziale e imprescindibile della vita dell’impresa ma anche è suscettibile di assumere connotazione commerciale ai fini PEX. Al riguardo possono presentarsi tre situazioni concrete:
Alla luce di quanto sopra, si rende necessario definire in concreto la “linea di confine” tra la fase di start up e l’attività commerciale dell’impresa, in ragione delle specificità del settore produttivo di appartenenza. Tale distinzione rileva poiché, in alcuni settori, determinate attività che potrebbero essere ritenute in linea di principio meramente preparatorie, possono considerarsi, al contrario, esplicative dell’esercizio di attività d’impresa. L’Agenzia fornisce al riguardo alcune utili esemplificazioni:
[1] Per i soggetti IRES la detassazione è riconosciuta nella misura del 95% (art. 87 del TUIR) mentre per i soggetti IRPEF imprenditori nella misura del 50,28% (art. 58, co. 2, del TUIR). [2] Cfr. la circolare n. 36 del 4 agosto 2004, cui sono seguiti nel corso del tempo una serie di interventi su casi specifici sottoposti all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate in sede di interpello e di risposte fornite in occasione di incontri periodici con la stampa specializzata.
[3] Cfr. la circolare n. 7 del 29 marzo 2013.
[4] Cd. Riforma “Tremonti”, Legge delega 7 aprile 2003, n. 80.
[5] Cfr. la Circolare n. 51 del 6 ottobre 2010 in tema di Controlled Foreign Companies e le Risoluzioni n. 163 del 25 novembre 2005 e n. 226 del 18 agosto 2009.
[6] Cfr. Risoluzione n. 323 del 9 novembre 2007.
a cura di:
dott. Pietro Freddo
pubblicato su:
C&S Informa, volume 14, numero 4 anno 2013