La norma tributaria riconosce la deducibilità delle perdite su crediti in presenza di “elementi certi e precisi”, e “in ogni caso” se i debitori insolventi sono sottoposti a procedure concorsuali (art. 101, comma 5 del TUIR). Ai fini di valutare le differenti condizioni richieste e il momento in cui effettuare la deduzione - alla luce degli orientamenti emersi in dottrina e in giurisprudenza - risulta opportuno evidenziare la dicotomia esistente tra debitori assoggettati e non assoggettati alle procedure concorsuali previste dal legislatore.
Debitori non assoggettati a procedure concorsuali
In questo ambito, secondo l’amministrazione finanziaria, le perdite su crediti fiscalmente riconosciute “devono essere analiticamente comprovate sulla base di un’effettiva documentazione del mancato realizzo e del carattere definitivo della perdita, escludendo elementi di natura valutativa e presuntiva” (cfr. Ris. 06/08/1976 n. 9/124). Tale interpretazione è avvallata anche da una pronuncia della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14568/2001), secondo la quale il fatto costitutivo del diritto alla deducibilità della perdita riguarda sia il verificarsi della medesima per effetto dell’inesigibilità del credito e sia l’individuazione del relativo ammontare; in tale sentenza viene altresì evidenziato che la norma fa riferimento alla presenza di elementi certi, facendo così intendere che un solo dato non è sufficiente ad integrare i presupposti per la generale deducibilità delle perdite su crediti.
Non è possibile, quindi, dedurre fiscalmente la perdita su crediti sulla base dei presupposti civilistici, in relazione ai quali la valutazione dei crediti deve avvenire secondo il prudente apprezzamento degli amministratori; le regole fiscali richiederebbero infatti che il creditore faccia tutto il possibile per poter incassare quel credito finché si dimostri che sia definitivamente irrecuperabile.
Tra gli elementi idonei a suffragare la deducibilità, a parere della dottrina, potrebbero essere idonei, le corrispondenze dei legali provanti la nullatenenza del debitore, l’infruttuosità delle procedure esecutive individuali esperite dal creditore, la chiusura dei locali dell’impresa, l’irreperibilità del debitore attestata da ricerche compiute, la denuncia penale per truffa.
E’ opportuno evidenziare in questa sede, che l’Agenzia delle Entrare - in una recente Risoluzione - ha sostenuto che le situazioni di temporanea illiquidità del debitore seguite dal verbale di pignoramento negativo non rappresentano una condizione sufficiente per riconoscere la deducibilità della perdita. Da tale risposta non dovrebbe tuttavia potersi ricavare un’interpretazione volta a disconoscere la capacità segnaletica, tra gli elementi certi e precisi, dell’infruttuoso pignoramento. Infatti, il caso specificatamente sottoposto ad interpello riguardava un credito verso un’Asl, ente pubblico non assoggettabile a fallimento, che ha indotto l’Agenzia delle Entrate a ritenere non definitiva la situazione di insolvenza, in virtù della particolare natura dell’ente che può “fondatamente costituire elemento di positiva valutazione circa la probabilità di recuperare il credito non esatto” (cfr. Ris. 16/E/09).
Per i crediti commerciali di modesto importo - sia per la dottrina che per la prassi - la deduzione può non essere vincolata alla dimostrazione di queste rigorose “prove” formali: la lieve entità dei crediti, da considerarsi tale anche in relazione all’entità del portafoglio, esonera eccezionalmente le imprese dall’intraprendere ricerche e azioni di recupero che comportino soltanto il sostenimento di ulteriori oneri. In pratica, la previsione che le spese legali eccedano l’ammontare recuperabile dall’azione coattiva, dovrebbe giustificare l’abbandono dei crediti di modesto importo.
Con riferimento, invece, all’ipotesi di perdite su crediti riconducibili ad atti dispositivi, quali, ad esempio, atti transattivi con il cliente o le rinunce ai crediti deliberate dal consiglio di amministrazione delle società, pur dovendosi riconoscere secondo la dottrina che i requisiti di certezza e precisione richiesti dall’art. 101, comma 5, TUIR sussistano di per sé in forza dell’atto stesso posto in essere, si ritiene che la deduzione non possa essere esercitata senza che nella decisione si abbia avuto riguardo ad elementi che di per sé dimostrino l’irrecuperabilità o la non convenienza alla recuperabilità del credito. Tale fattispecie pone, infatti, il contribuente nella situazione di dover provare l’inerenza del costo – la perdita - che ha deciso di sostenere o quantomeno avvallato. Tale requisito, secondo gli orientamenti emersi, deve esaminarsi non soltanto nell’obiettiva riferibilità dell'onere all'esercizio d'impresa, ma anche nella ricorrenza di quel concetto di "inevitabilità" dello stesso.
In relazione al periodo d’imposta in cui dedurre le perdite su crediti, si segnala in particolare quell’interpretazione della giurisprudenza (Cass. n. 16630/2005) che ha affermato – per le perdite su crediti emerse al di fuori di una procedura concorsuale - che tale momento deve coincidere con quello in cui si materializzano gli elementi certi e precisi a fondamento della irrecuperabilità del credito stesso. Non si potrebbe pertanto seguire, per la Suprema Corte, l’orientamento di una parte della dottrina secondo cui la deducibilità potrebbe essere rinviata anche in esercizi successivi, in quanto si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo di imposta più vantaggioso in cui effettuare la deduzione, snaturando il principio della competenza, che costituisce criterio inderogabile ed oggettivo per la determinazione del reddito d’impresa di periodo.
Debitori assoggettati a procedure concorsuali
Nei casi in cui il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, gli elementi certi e precisi posti a fondamento della deducibilità delle perdite su crediti, si considerano sussistere per legge (presunzione legale) e dispensano pertanto il creditore dal comprovare il mancato realizzo ed il carattere definitivo della perdita.
Questa presunzione legale opera nel caso in cui il debitore sia dichiarato fallito, o in concordato preventivo, o soggetto alla liquidazione coatta amministrativa o all’amministrazione straordinaria.
Il credito, in particolare, può essere portato in deduzione dal reddito d’impresa dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento, o del decreto di ammissione al concordato preventivo o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o l’ammissione all’amministrazione straordinaria. Fino a quel momento, viceversa, non è possibile riconoscere la perdita su credito senza far leva sugli “elementi certi e precisi”.
Risulta esclusa dall’elenco di cui all’art. 101, comma 5, TUIR l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, istituto introdotto nel corpo della legge fallimentare (art. 182-bis) dal D.Lgs. 169/2007.
In occasione di Telefisco 2009, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che le perdite su crediti derivanti dagli accordi di ristrutturazione non possano usufruire della presunzione di inesigibilità, in quanto il tenore dell’art. 101, comma 5, TUIR - in assenza di interventi legislativi - non consentirebbe una interpretazione più ampia.
Con riferimento al criterio di imputazione temporale della perdita del credito, il fatto che la disposizione fiscale riconosca la deducibilità all’apertura delle procedure concorsuali, non dovrebbe essere interpretato quale “obbligo” di dedurre in quell’esercizio l’intero ammontare del credito, come invece i verificatori dell’amministrazione finanziaria hanno più volte, sostenuto.
In tal senso si è espressa anche la recente norma di comportamento dell’Associazione Dottori Commercialisti (ADC n. 172 del 19.11.08), secondo cui la disposizione dell’art. 101, comma 5, TUIR, permette di dedurre la perdita durante tutta la durata della procedura concorsuale, in coerenza con le imputazioni a bilancio operate dagli amministratori. In altre parole, l’entità della perdita sul credito e l’esercizio della relativa deduzione devono essere calcolati tenendo conto dell’effettivo grado di recuperabilità del credito in relazione alla procedura e allo stato della medesima. Questo non può, tuttavia, tradursi in una facoltà di scegliere discrezionalmente in quali esercizi dedurre le perdite subite ma, al contrario, richiede di documentare analiticamente quando sono maturate le condizioni che hanno comportato la deducibilità della perdita.
Debitori non residenti
Per i crediti verso operatori stranieri, non si rinvengono disposizioni legislative diverse dall’art. 101 del TUIR, né posizioni dell’amministrazione finanziaria di senso discordante rispetto alle considerazioni fin qui espresse
Pertanto, per poter usufruire della presunzione legale riferita alla sussistenza di procedure concorsuali, occorrerà stabilire se il procedimento a cui è assoggettato il debitore nello Stato estero sia assimilabile ad uno di quelli previsti dal nostro legislatore (Circ. 10.05.02 n. 39).
Nelle altre fattispecie di crediti sorti con soggetti esteri divenuti inesigibili, ai fini della deducibilità della perdita, occorrerà dimostrare la sussistenza degli elementi certi e precisi così come previsto dall’art. 101. Si potrà dare prova di aver utilizzato in modo, peraltro, infruttuoso anche strumenti giuridici previsti dalla legislazione estera o “convenzioni internazionali vincolanti anche lo Stato del debitore, idonee a perseguire il debitore stesso per ottenere il pagamento del debito” (Cass. n. 23863 del 19.11.07); oppure, si potrà ricorrere alle attestazioni della SACE S.p.A. (società per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero posseduta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) per i crediti da essa garantiti: la dichiarazione di insolvenza del debitore estero emessa dalla SACE S.p.A. può, infatti, costituire idonea documentazione ai fini della deducibilità della perdita su crediti esteri dal reddito d’impresa.
Infine, è rilevante sottolineare che se i soggetti esteri debitori sono residenti o localizzati in Paesi a regime fiscale privilegiato, la deducibilità delle perdite su crediti è altresì subordinata, oltre che alla sussistenza degli elementi di cui sopra, anche alla dimostrazione dell’effettiva attività commerciale del debitore oppure all’effettivo interesse economico e alla concreta esecuzione dell’operazione, in applicazione dei commi 10 e 11 dell’ art. 111 TUIR.
a cura di:
dott. Andrea Stropparo
pubblicato su:
C&S Informa, volume 11, numero 1 anno 2010