Il piano d'azione OCSE contro l'erosione di base imponibile ed il profit shifting

Temi e Contributi
14/07/2014

L’OCSE ha recentemente emanato una bozza di discussione pubblica riguardante le azioni che possono essere intraprese dai Paesi membri per neutralizzare gli effetti dei cosiddetti “accordi ibridi di disallineamento” (hybrid mismatch arrangements).

Si tratta di costruzioni artificiali utilizzate dalle imprese al fine di ridurre la base imponibile o spostare i profitti da uno Stato ad un altro, con effetti negativi dal punto di vista sia impositivo per lo Stato di appartenenza, sia in termini di alterazione della concorrenza commerciale.

Se in prima battuta, infatti, sono gli Stati a rimetterci in termini di riduzione del gettito fiscale, non si può tralasciare di considerare la discriminazione che si produce tra le imprese multinazionali, che possono avvalersi di strutture finanziarie evolute in grado di sfruttare tali possibilità, e le imprese medio piccole che non hanno le capacità di accedere a meccanismi sofisticati di pianificazione su base internazionale dei carichi di imposta.

Altro fattore di non scarsa importanza è l’inefficienza economica che potenzialmente essi possono produrre, rendendo profittevoli investimenti che, in assenza di un arbitraggio fiscale, non sarebbero meritevoli di attenzione.

Gli accordi oggetto di analisi sono strumentali al godimento di i)doppie deduzioni, ii)deduzioni in uno Stato cui corrisponda una esclusione nell’altro o iii)crediti di imposta perpetui da utilizzare in abbattimento dei profitti generati.

Sebbene, come si vedrà in seguito, la stessa OCSE si sia impegnata a proporre delle modifiche da apportare al modello di convenzione contro le doppie imposizioni entro il Settembre 2014 (Public Discussion Draft 2014, treaty Issues), la strada che viene vista dall’Organizzazione come la più percorribile e la più idonea a produrre risultati immediati nel breve periodo richiede agli Stati di apportare modificazioni alla normativa domestica volte ad includere nella stessa delle nuove regole adatte a disciplinare queste possibilità di arbitraggio.

Tali nuove norme dovrebbero, nelle intenzioni dei loro ideatori, essere mirate a: a)prevenire l’esenzione o esclusione dalla tassazione per transazioni che fossero già deducibili dal soggetto pagante, b)negare la deduzione fiscale di elementi che non vengono tassati in capo al percipiente, c)negare la deduzione fiscale di pagamenti che siano deducibili anche nell’altra giurisdizione e d)coordinarsi con gli altri Stati nel caso in cui più di un Paese cerchi di applicare tali regole alla medesima transazione, per evitare che si giunga ad una doppia imposizione.  

L’idea proposta dall’Organizzazione prevede la creazione di due livelli di norme, uno primario di diretta applicazione e uno secondario da utilizzarsi nel caso in cui la legislazione dall’altro lato del tavolo non applichi quello precedente.

L’esperienza di alcuni Paesi che hanno già sviluppato delle normative in tal senso è dichiaratamente positiva. In Italia e negli Stati Uniti l’introduzione di regole che escludano i benefici derivanti dallo sfruttamento di gaps tra le legislazioni nazionali ha fermato lo sfruttamento di accordi artificiali volti a generare crediti d’imposta stranieri.

Il rapporto OCSE del 2012 “Hybrid Mismatch Arrangements: Tax Policy and compliance Issues” riporta in tal senso come in  Nuova Zelanda le norme specifiche abbiano non solo svolto una eccellente funzione deterrente, ma abbiano altresì contribuito ad una maggiore chiarezza nei confronti dei restanti contribuenti, tanto che negli ultimi 10 anni si è resa necessaria la loro applicazione soltanto in un caso.

Le categorie all’interno delle quali vengono raggruppate le diverse pratiche elusive che ricadono nel campo di applicazione delle norme viste poc’anzi, e che verranno di seguito analizzate, sono essenzialmente tre:

  1. Hybrid financial instruments and transactions;
  2. Hybrid entities payments;
  3. Imported mismatches and reverse hybrids.

Uno strumento finanziario ibrido è “qualunque accordo di finanziamento che sia caratterizzato in modo differente da due o più legislazioni, in modo che un pagamento effettuato all’interno di detto strumento comporti il verificarsi di una inefficienza nel risultato fiscale”[1]. La pratica prevede la fornitura di uno strumento finanziario tra due società residenti in Paesi diversi, strumento che da uno degli Stati è visto come un debito cui viene di conseguenza garantita la deduzione degli interessi, mentre dall’altro è trattato come capitale ed i pagamenti ricevuti sono esentati o esclusi. L’esito è di tipo D/NI (deduzione/non imposizione).  

Una transazione ibrida è un particolare tipo di prestito pronti contro termine a garanzia reale dove entrambe le parti, site in Paesi diversi, si comportano come proprietario del bene a garanzia. Il funzionamento prevede l’esistenza di tre società con sede in due Paesi differenti. La controllante vende le azioni di una sussidiaria estera ad una società del medesimo Paese straniero, impegnandosi a riacquistarle in futuro ad un prezzo prestabilito. Nel Paese estero la transazione è guardata nella sua forma esteriore: la società che riceve i dividendi beneficerà di una esenzione o di un trattamento similare, ed al momento della rivendita delle azioni potrebbe beneficiare di una esenzione sui capital gains; il paese di origine invece guarda all’operazione come ad un prestito, secondo la sua sostanza economica. La società domestica sarà vista come attuale proprietaria delle azioni e sui dividendi pagati alla società estera godrà di un credito per le imposte pagate dalla sussidiaria; i dividendi risulteranno poi pagati direttamente dalla società nazionale, che potrà dedurli come costo del finanziamento.

Il meccanismo è definito “generatore di crediti fiscali”, poiché porta all’accumulo di un credito nel paese di origine al termine dell’operazione.

Le proposte per la creazione di una normativa specifica seguono due approcci predominanti: il primo (bottom-up) mira ad identificare le singole operazioni che danno vita a maggiori problemi dal punto di vista fiscale, il secondo (top-down) parte da una regola generale applicabile a tutti le operazioni con alcune eccezioni espresse in cui sarebbe eccessivamente costoso per il contribuente adeguarsi alla regola.

Il secondo punto, relativo ai pagamenti da e ad entità artificiali, è decisamente più articolato e ci si limiterà pertanto ad analizzare le fattispecie più comuni, rimettendo al documento per ulteriori approfondimenti.  

Un primo caso prevede una società A che detiene tutte le azioni di una sussidiaria estera B, ignorata ai fini fiscali nel Paese di A. B prende a prestito denaro da una banca, e deduce gli interessi passivi nel suo Paese di incorporazione, trasferendo poi il beneficio fiscale ad una sussidiaria locale. Nel Paese domestico, tuttavia, A risulta come titolare del prestito ed è anch’essa autorizzata a dedurre gli interessi pagati, giungendo ad un esito DD (doppia deduzione).

Uno schema di tipo D/NI coinvolge invece un pagamento effettuato da una entità ibrida (poiché non riconosciuta come fiscalmente opaca in tutti i Paesi coinvolti) la quale effettui un pagamento deducibile nel suo Paese ma ignorato nel Paese di destinazione. La struttura è la stessa del caso precedente, con la differenza che la società estera prende a prestito da quella domestica, deducendo gli interessi pagati nel Paese B, interessi che però in A non vengono computati in quanto non si riconosce l’esistenza di B.

L’OCSE propone in questo caso una norma di collegamento che guardi ad eventuali deduzioni generate dal pagamento nel Paese della sussidiaria che potrebbero essere compensate contro una doppia imposizione in entrambi i Paesi.

L’ultima situazione è infine relativa agli imported mismatches e reverse hybrids; questi si verificano quando un pagamento effettuato da un investitore ad un intermediario non è tassato. In particolare, i primi sono arrangements in cui l’intermediario costituisce uno strumento ibrido con un terzo, in modo da compensare le imposte sui pagamenti all’investitore attraverso una deduzione o un credito d’imposta generato dallo strumento utilizzato, mentre nei secondi le differenze nella qualificazione che viene data all’intermediario portano ad una doppia esenzione del pagamento nei due Stati.  

Un esempio della prima tipologia si ha quando una società A presta denaro ad una sussidiaria estera B utilizzando uno strumento finanziario che consenta di beneficiare di un meccanismo del tipo D/NI. Una terza società con sede in un altro Paese a sua volta prende a prestito da B, deducendo gli interessi passivi che vengono formalmente inclusi nella dichiarazione da B, ma vanno in realtà a bilanciare con la deduzione relativa allo strumento finanziario ibrido. Il risultato finale è una esenzione in A, un esito neutrale in B ed una deduzione in C.

Il secondo schema invece, rovesciato rispetto a quello già trattato dei pagamenti ad entità ibrida, si fonda su di una società A interamente controllante una sussidiaria estera B, considerata fiscalmente trasparente nel suo Paese ma come opaca in A. Una società C con sede in un Paese terzo prende a prestito da B, deduce gli interessi passivi che non vengono tassati né in A né in B, poiché nessuno dei due Paesi riconosce come fiscalmente la società B percettrice.

La soluzione più semplice ai problemi creati da queste strutture, che l’OCSE auspica si raggiunga nei prossimi anni, sarebbe data dall’adozione in tutti gli Stati di un analogo set di regole contro i disallineamenti impositivi. Questa eventualità non solo renderebbe più efficace la lotta all’erosione di imponibile ed al profit shifting, ma darebbe ai contribuenti maggiore certezza sugli esiti delle operazioni messe in atto, riducendo le incombenze di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria.

In ordine alla concreta applicazione di tali normative, l’Organizzazione suggerisce come miglior luogo di imposizione il Paese dell’investitore, in quanto reale beneficiario dell’operazione, richiedendo tuttavia ai Paesi intermediari di contribuire maggiormente allo scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie per facilitare l’attività di tutti gli attori coinvolti.  

La parte finale della bozza di discussione prende in discussione ulteriori schemi elusivi, sui quali le esigenze di sintesi non consentono di soffermarsi ma che sono nello scheletro simili a quelli affrontati ma coinvolgono società appartenenti allo stesso gruppo, e le modalità di coordinamento all’interno delle normative degli Stati coinvolti.

Quest’ultimo aspetto merita sicuramente un cenno. Citando la lettera del rapporto OCSE, una norma sui disallineamenti ibridi è una “regola separata che altera gli effetti fiscali di una particolare transazione e che si applica generalmente dopo aver determinato gli esiti e i soggetti coinvolti ma prima di ogni altra regola non transaction-specific”. Va da sé che poi, in caso di contemporanea applicabilità di più norme, debba essere predisposta una gerarchia che eviti di produrre esiti ingiustamente gravosi per il contribuente come una doppia imposizione.

Spostando l’attenzione sugli interventi diretti dell’OCSE tramite una modificazione del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, il focus dell’attenzione è stato posto sul comma terzo dell’art. 4, e sul relativo commentario, in tema di residenza. La proposta di modifica mira a raggiungere una soluzione caso per caso delle situazioni di doppia residenza, utilizzando i criteri che attualmente fungono da discriminante unica come semplici indicatori-guida nel processo di determinazione condiviso tra due o più Paesi.

Questa soluzione non sarebbe comunque definitiva, essendo comunque impossibile, alla sola luce della stessa, colpire schemi che sfruttino un gap tra la legislazione domestica e la disposizione convenzionale, ed è qui che emerge la necessità di una contemporanea azione anche sul piano domestico.  

Una modificazione dell’articolo 1, con l’aggiunta di un secondo comma, mira ad estendere l’applicabilità della convenzione a tutti i ricavi percepiti tramite entità che sono trattate come parzialmente o interamente trasparenti ai fini fiscali in uno degli Stati contraenti, dove con il termine “trasparente” si intende una situazione in cui il reddito dell’entità o dell’accordo non viene tassato a tale livello ma a quello del soggetto che in essa/o ha interesse.

In conclusione, il livello di intervento ottimale prevede una azione congiunta da parte degli Stati sia a livello domestico che internazionale, rendendo più difficile lo sfruttamento delle pieghe del diritto per elusioni fiscali e meno gravoso per i contribuenti verificare l’adempimento ai dettati normativi.

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[1] Fonte: OECD Public Discussion Draft, BEPS Action 2

 

 

 

 

a cura di: 

dott. Gregorio Piran

(stagista presso Cortellazzo & Soatto)