Il Piano Attestato o Piano di Risanamento Attestato, disciplinato esclusivamente in poche righe all’interno dell'art. 67 della L.F. dedicato all'azione revocatoria fallimentare (“Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie”)2, tra gli istituti giuridici introdotti nella Riforma della Legge Fallimentare del 2005 non si poteva immaginare sarebbe stato lo strumento più adottato nelle operazioni di risanamento aziendale, seppur con intensità differenti dalla sua introduzione ad oggi.
D’altronde la natura integralmente privatistica di questo istituto, la flessibilità e l’apparente riservatezza nel suo utilizzo, doveva far presagire una preferenza da parte degli operatori nel nuovo contesto delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa, a fronte di un passato caratterizzato dall’atteggiamento punitivo e dissolutivo delle procedure concorsuali appoggiate ai Tribunali.
Pur mancando statistiche ufficiali in merito alla numerosità dell'utilizzo del piano attestato ed alla eventuale reiterazioni dello stesso in capo alla medesima impresa, è un dato di fatto che abbia ampiamente sovrastato le altre due abituali soluzioni delle crisi: l'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F. ed il concordato preventivo in continuità (diretta o indiretta) o liquidatorio.
Il Piano di risanamento ex art. 67 L.F. peraltro ha visto delinearsi nella maggior parte dei casi nell’esperienza maturata nei 15 anni dalla sua introduzione un sistema di regole che riescono ad accompagnare il suo utilizzo dall’inizio fino al suo esaurimento, ed in particolare nella fase dell’attuazione ed adempimento.
Pur non avendo necessariamente come presupposto un accordo con i creditori o categorie di essi, la prassi ne ha visto infatti un uso diffuso soprattutto per definire rapporti con istituti di credito, formalizzati mediante contratti aventi contenuti molto articolati, ma soprattutto capaci di regolamentare le fasi dell’esecuzione dell’accordo e formulare la previsione delle ipotesi di correzione o di risoluzione a fronte di eventi specifici e/o di mancato raggiungimento di obiettivi segnati da covenant quali - quantitativi.
In altre parole, la disciplina privatistica della soluzione della crisi ha trovato negli accordi redatti nelle situazioni regolate in seno a piani attestati, maggiori certezze rispetto ad esempio all’ipotesi di concordato preventivo, la cui esecuzione post omologa ha paradossalmente anche tuttora un percorso meno definito dal punto di vista dei tempi e dei modi in cui può realizzarsi l’adempimento o manifestarsi l’inadempimento.
Considerato il ruolo centrale dell’istituto in esame nelle soluzioni privatistiche delle crisi, con il presente scritto ci si propone, partendo dalla disciplina attualmente in vigore, di analizzare come la Legge Delega 29 ottobre 2017 n. 155 ed il successivo Decreto Legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza), che dovrebbe entrare in vigore l’1 settembre 2021 (proroga disposta dal l’articolo 5 del Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23), nonché la normativa d’emergenza a causa del COVID19, siano intervenuti su questo istituto e quali potranno essere le interferenza con la Direttiva comunitaria 2019/10233 in materia di “quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione, le interdizioni e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione di insolvenza ed esdebitazione” il cui termine di recepimento è fissato al 17 luglio 2021.