La legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. “Collegato lavoro”) interviene, dal 24 novembre 2010, in modo significativo a modificare una serie di importanti istituti in materia di lavoro. In particolare le modifiche riguardano il processo del lavoro, la certificazione dei contratti, l’apprendistato, le collaborazioni a procetto, le agenzie per il lavoro, il lavoro a termine, i licenziamenti, l’ispezione del lavoro.
Per quanto riguarda l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, l’art. 30 della legge n. 183 ha sostituito il testo dell’art. 75 del d.lgs. n. 276 del 2003, con l’intento di ampliare l’ambito oggettivo di intervento della procedura di certificazione. La certificazione è oggi utilizzabile non solamente in relazione alla qualificazione dei contratti di lavoro, ma, più in generale, con riferimento a tutti i contratti nei quali sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.
Considerato il significativo ampliamento del campo di applicazione dell’istituto della certificazione occorre considerare con attenzione gli effetti della stessa, da distinguere tra effetti contrattuali (che si producono nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore), ed effetti verso terzi (cioè nei confronti degli enti interessati alla costituzione e allo svolgimento dei rapporti di lavoro).
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Con riguardo al piano contrattuale, il “Collegato lavoro” si muove nella direzione di potenziare il ruolo della certificazione: si prevede, infatti, che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole, non possa distaccarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione.
Certificazione che ora può essere effettuata non solo al momento della stipulazione del contratto, ma anche in corso di svolgimento, addirittura qui, se ve ne sono le condizioni, con effetto retroattivo e cioè sin dall’inizio del rapporto di lavoro.
Il vincolo nei confronti del giudice trova tre importanti eccezioni, (i) erronea qualificazione, (ii) vizi del consenso e (iii) difformità tra programma negoziale certificato e sua successiva attuazione di fatto. Novità molto rilevante è quella secondo cui la certificazione rende ora possibile l’introduzione nel contratto individuale di alcune clausole altrimenti inammissibili, come la clausola compromissoria e le tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo. Qui la certificazione non gioca un ruolo limitato alla semplice qualificazione, ma va ad incidere sul contenuto del contratto, secondo la ben nota tecnica della volontà assistita. Quest’ultima, sino ad ora utilizzata solo con riferimento ad atti estintivi, modificativi o dispositivi (dimissioni della lavoratrice madre o contigue al matrimonio; trasformazione da full time a part time; rinunzie e transazioni), fa ora il proprio debutto nella fase genetica del rapporto.
Il giudice – nel valutare la giustificatezza di un licenziamento - dovrà tenere conto non solo delle tipizzazioni collettive, ma anche delle tipizzazioni previste dai contratti individuali certificati. Nel caso di applicazione della tutela obbligatoria (nelle aziende sino a 15 dipendenti), è ora previsto che il giudice, nel determinare l’indennità, tenga conto dei parametri fissati dai contratti collettivi (anche decentrati e aziendali) e individuali certificati, delle dimensioni e delle condizioni dell’attività imprenditoriale, del mercato del lavoro locale, dell’anzianità e delle condizioni lavoratore, del comportamento delle parti.
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Il vero e proprio incentivo alla certificazione risiede soprattutto negli effetti che essa ha nei confronti dei terzi. Ai sensi dell’art. 79 del d.lgs. n. 276 del 2003 “gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali” promossi avanti al Giudice del lavoro o al TAR di cui all’art. 80, “fatti salvi i provvedimenti cautelari”.
Gli effetti della certificazione, quindi, si producono non solo tra le parti, ma anche verso i terzi (enti previdenziali, pubblica amministrazione, fisco), ove richiesto dalle parti e previa comunicazione ai terzi interessati ed eventuali osservazioni degli stessi.
I “terzi” in questione sono:
Prima interpretazione:
Seconda interpretazione:
Terza interpretazione
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Nei confronti della certificazione è possibile esperire una serie di rimedi azionabili non solo dalle parti contrattuali, ma anche dai terzi nei cui confronti la certificazione è destinata a produrre effetti; i predetti rimedi sono i seguenti. Ricorso al Giudice del lavoro possibile in tre casi:
Si ricorda che nel caso di contenzioso in cui si chiede l’accertamento di una diversa qualificazione rispetto a quella risultante dal contratto certificato, il tentativo di conciliazione rimane obbligatorio e dovrà essere svolto davanti alla Commissione di certificazione.
Ricorso al TAR (entro 60 gg.) possibile in due casi:
a cura di:
avv. Andrea Sitzia
pubblicato su:
C&S Informa, volume 11, numero 9 anno 2010