La crisi che da qualche anno imperversa sull’economia mondiale continuerà a influenzare i risultati economici delle imprese, stravolgendo le pianificazioni economico-finanziarie a suo tempo progettate e richiedendo, di conseguenza, una radicale revisione dei sistemi di incentivazione economica a favore dei manager di “prima linea” nella gestione dell’impresa, siano essi Amministratori esecutivi o responsabili di “business unit” o con ruoli di responsabilità in specifiche funzioni.
In ogni dimensione di impresa sussiste qualche metodo di misurazione per la determinazione di compensi variabili quali componenti della remunerazione dei manager. Talvolta, nelle imprese con caratteristiche marcatamente padronali e di dimensione contenuta, il metodo del “premio” nella misura insindacabilmente determinata dall’imprenditore proprietario, sia pure collegato in qualche modo ai risultati economici, di fatto, risulta scarsamente collegabile al raggiungimento di obiettivi individuali e, in sostanza, rappresenta spesso una annuale elargizione più o meno ripetitiva, attesa dal destinatario quale parte della sua remunerazione.
E’ un metodo che rappresenta più un premio di fedeltà piuttosto che il riconoscimento del raggiungimento di determinati risultati.
Negli attuali tempi di crisi anche la fedeltà non va disgiunta dalla tenuta del valore dell’azienda e meglio ancora dalla crescita di valore dell’impresa di cui, in primis, beneficiano soci, azionisti, proprietari, ma anche tutti gli altri stakeholders.
E’ ben conosciuto che la crisi economica mondiale in atto ha avuto origine da un certo malaffare delle cosidette “financial institutions” ove stratosferici “bonus” sono stati erogati a manager di vertice commisurandoli a risultati di breve periodo spesso ottenuti con manovre azzardate e speculative e/o tecniche di bilancio dalle quali sono derivati i ben noti disastrosi effetti a catena.
Tutto ciò ha fatto emergere la rischiosità di una gestione che privilegiava appunto risultati immediati senza l’adeguata considerazione dei rilevanti rischi che permanevano sul futuro.
Per arginare tali riprovevoli comportamenti, in sede internazionale, sono state emanate linee guida da parte di un organismo denominato Financial Stability Board costituito dai ministri delle finanze e dai governatori centrali delle banche dei Paesi che appartengono al G7 e attualmente presieduto dal governatore di Banca d’Italia Mario Draghi.
Gli orientamenti, recepiti anche dalla comunità europea, in sostanza ribadiscono l’esigenza di riconoscere “bonus” ai manager a fronte di “performance corrette da coefficienti di rischio” (performance risk adjusted).
I concetti basilari di tali linee guida sono stati poi elaborati da “Active Value Advisors” società di consulenza direzionale che assiste i principali gruppi quotati europei nello sviluppo dei piani industriali che ha indicato, quale tecnica per la determinazione della sostenibilità delle “performance” economiche, l’utilizzo di strumenti di incentivazione di lungo termine riferendo il “bonus” ad un certo numero di anni.
Di fatto una buona parte del “bonus maturato” dovrebbe venire pagato al verificarsi della sostenibilità nel tempo del risultato raggiunto.
E’ evidente che la definizione degli obiettivi diventa particolarmente complessa e richiede l’impiego di metodologie del tutto nuove che devono individuare sia gli obiettivi di performance oltre i quali spetta il “bonus”, ma anche i limiti di permanenza pluriennale al di sotto dei quali si perde in tutto o in parte il “bonus” con la conseguenza che, se esso è già stato corrisposto, può verificarsi l’ipotesi della sua parziale o totale restituzione.
Ovviamente il tutto va progettato coerentemente con le diverse posizioni di responsabilità aziendale.
Se si vuole trasferire questi concetti di guida anche nelle PMI, i piani di incentivazione (MBO), più o meno sofisticati nella definizione degli obiettivi di breve periodo, devono essere convalidati da performance pluriennali anche raffrontate a quelle di settore.
Anche nelle piccole imprese padronali, il “premio” di cui si è accennato prima deve considerare la qualità della performance in un periodo di continuità e deve essere commisurato alla obiettiva sostenibilità dei risultati di breve periodo definiti da piani pluriennali che, in tempo di crisi, rappresentano il vero binario in cui l’impresa deve muoversi per ritrovare il proprio equilibrio economico-finanziario, la propria posizione di competitività e quindi le condizioni di creazione di valore.
La situazione di crisi dell’impresa può rappresentare anche una opportunità per il manager laddove gli obiettivi del “turnaround” investono aspetti di riduzione dei costi, riequilibrio finanziario, miglioramento dei flussi finanziari con contenimento dei costi del credito, talvolta rinegoziazione dei debiti, ma anche e soprattutto ricerca di nuovi obiettivi strategici di riposizionamento dell’impresa sul mercato. Ogni funzione aziendale deve riprogettare i criteri di gestione in una realtà quasi sempre del tutto diversa, in uno scenario di competizione esasperato ove il coordinamento delle risorse umane, la valorizzazione di tutti i valori intangibili assumono ruolo determinante nel configurare spesso una nuova impresa.
Da ciò nascono gli obiettivi da individuare il cui raggiungimento va remunerato con la parte variabile, ma devono essere obiettivi la cui verifica di sostenibilità non può che proiettarsi nel tempo nell’ambito di uno scenario economico, in ogni caso, del tutto nuovo.
a cura di:
dott. Antonio Cortellazzo
pubblicato su:
C&S Informa, volume 11, numero 2 anno 2010