Sia nella predisposizione che, soprattutto, nella valutazione di piani economico finanziari a medio e lungo termine, particolare attenzione deve essere posta con riferimento al tasso di inflazione o di rivalutazione utilizzato nella stima degli investimenti e dei costi e ricavi della gestione caratteristica oggetto di pianificazione dal momento che tale variabile genera impatti non di poco conto sui risultati attesi e sulle conseguenti scelte imprenditoriali.
Il presente contributo ha quindi l’obiettivo di analizzare le diverse opzioni che possono essere adottate dall’estensore del piano, in relazione alle finalità del medesimo ed alla sua durata, e di mettere in luce gli accorgimenti che l’analista è opportuno tenga in considerazione ai fini valutativi.
Evidenze empiriche, peraltro agevolmente dimostrabili dal punto di vista logico-matematico, denotano come all’aumentare del periodo di durata di un piano l’impatto dell’inflazione sui risultati del medesimo sia via via crescente; tale fenomeno, più consistente in periodi ad alta inflazione rispetto a periodi a bassa inflazione come quello attuale, dipende dal fatto che applicando un tasso di inflazione o di rivalutazione omogeneo sia ai ricavi che ai costi della gestione caratteristica il margine operativo lordo che ne deriva subisce anch’esso, in via indiretta, un incremento proporzionale. Infatti, tanto più ampio è il periodo di durata del piano tante più volte si opererà, di anno in anno, la capitalizzazione dei valori nominali di costi e ricavi dell’anno precedente all’inflazione attesa e, quindi, tanto più si amplierà il differenziale fra di essi e dunque, indirettamente, il valore monetario del suddetto margine.
In relazione a detto fenomeno, nella prassi si è potuto osservare come, in piani che presentano orizzonti temporali molto lunghi, quali ad esempio quelli normalmente predisposti in operazioni di finanza di progetto o in operazioni di strutturazione o ristrutturazione di debiti bancari a medio e lungo termine, piani che quindi possono avere durate comprese fra i 12-15 ed i 30 o 40 anni, anche limitate variazioni del tasso di inflazione applicato ai costi ed ai ricavi generino rilevanti impatti sui rendimenti del progetto e sulla bancabilità del piano; a titolo meramente esemplificativo, si è osservato, infatti, come in piani aventi ad oggetto concessioni autostradali di durata quarantennale variazioni anche non significative del tasso di inflazione applicato sia ai costi che ai ricavi operativi, quali ad esempio variazioni in diminuzione dello 0,50% annuo (da 2% ad 1,5%), generino contrazioni dei rendimenti medi annuali del progetto e dell’azionista molto più ampie e, senza dubbio, significative nell’ordine dell’ 1,25-1,75%.
Tenuto conto del descritto effetto amplificativo che le variazioni monetarie dei prezzi generano nel tempo, la scelta del tasso di inflazione, rivalutazione o svalutazione più adeguato alla specifica grandezza oggetto di pianificazione assume particolare rilevanza, sia sotto il profilo della ragionevolezza delle stime eseguite che sotto il profilo della valutazione della convenienza economica del piano nel suo complesso.
In quest’ottica è opportuno precisare che non sempre l’adozione di un unico tasso di incremento dei prezzi sia la scelta più appropriata e sottolineare che, talvolta, in relazione alla specificità delle variabili oggetto di stima, si rende necessario prevedere tassi di inflazione differenziati per tipologia di voce di costo o di ricavo. Non è infrequente infatti che determinate voci di costo, quali ad esempio quelle connesse al costo del personale dipendente, o comunque voci di costo relative a servizi di terzi fortemente correlati al costo del lavoro in generale, ovvero voci di costo relative a materie prime trattate in mercati internazionali, siano indipendenti dall’andamento generale dell’inflazione, in quanto legate a specifiche previsioni contrattuali o dipendenti da fattori esterni di tipo geografico o strettamente connesse alle specificità dell’andamento della domanda e dell’offerta nello specifico settore-mercato di riferimento.
Nella prassi, per ovviare a problematiche di questo tipo, prima di assumere una decisione in ordine ai tassi di inflazione, svalutazione o rivalutazione più appropriati, è opportuno procedere ad un’accurata indagine circa l’andamento nel tempo delle voci di costo (o ricavo) più significative finalizzata a comprendere se, con riferimento al dato storico, detto andamento evidenzi o meno sostanziali differenze rispetto all’andamento dell’indice inflattivo preso a base di riferimento. Infatti, qualora ciò fosse, si renderebbe opportuno prevedere tassi differenziati per tipologia di costo o ricavo oggetto di previsione così da avvicinarsi ad un procedimento di stima quanto più razionale possibile; altrimenti, in presenza di andamenti storici omogenei, può ben essere considerato a base del procedimento di stima uno dei diversi indici inflattivi calcolati o stimati da fonti esterne di primaria autorevolezza fra le quali, in Italia, in primis l’Istat o il Cipe.
Al riguardo, è opportuno sottolineare come l’utilizzo dei suddetti indici, laddove effettivamente possibile e razionale, metta al riparo l’estensore del piano da possibili obiezioni che terzi potrebbero muovere in ordine alle scelte adottate dal momento che l’utilizzo di detti indici è, in taluni casi, imposto dalla legge o da bandi pubblici (come, ad esempio, nel caso di piani relativi ad operazioni di finanza di progetto per i quali è necessario utilizzare il tasso di inflazione programmata previsto dal Cipe o quello indicato nel bando), in altri, dettato da esigenze di dimostrabilità delle assunzioni del piano (come, ad esempio, nel caso di piani aventi ad oggetto la ristrutturazione di debiti bancari nella parte, normalmente dopo la terza annualità, in cui i costi ed i ricavi vengono proiettati in futuro in modo inerziale, per i quali è buona regola utilizzare i tassi Istat o similari).
In talune circostanze, come ad esempio nel caso di imprese impegnate in attività aventi ad oggetto la vendita o che necessitano di approvvigionamento di materie prime trattate sui mercati internazionali, quali petrolio e suoi derivati, metalli e derrate alimentari, non è infrequente notare in sede di analisi storica dei prezzi che, pur in presenza di significative e discontinue fluttuazioni di breve e medio periodo (anche fino ad un triennio), il trend di lungo periodo sia invece paragonabile ed omogeneo a quello descritto dai principali indici di inflazione o rivalutazione ufficiali di identico periodo. In questi casi, appare rischioso procedere ad una previsione autonoma in quanto questa presupporrebbe di conoscere se, al momento della stima, ci si trovi in situazione di trend ribassista o rialzista, e sembra quindi preferibile e più prudente considerare per la stima o un dato storico basato su rilevazioni pluriennali o un indice ufficiale di provenienza esterna. Conseguentemente anche i risultati del piano dovranno essere valutati in ottica pluriennale, biennale o triennale che sia.
Una ulteriore considerazione riguarda il caso in cui il piano economico-finanziario sia predisposto con finalità valutative nell’ambito dell’applicazione di metodologie finanziarie per la valutazione di aziende. In tale circostanza, infatti, è opportuno porre particolare attenzione all’omogeneità fra i tassi di attualizzazione utilizzati per la stima dell’enterprise value, cioè la configurazione del wacc, e l’approccio seguito per la quantificazione del valore nominale dei costi e dei ricavi prospettici. Qualora, infatti, per evitare gli effetti derivanti dalla rivalutazione di quest’ultimi l’estensore abbia optato per lo sviluppo di un piano a valori reali, piano che quindi esprime risultati prospettici inferiori rispetto a quelli ottenibili tramite un processo di pianificazione che tenga conto di elementi inflattivi, si dovrà adottare l’accorgimento di deflazionare il tasso di attualizzazione utilizzato in modo tale da non deprimere i risultati della valutazione.
a cura di:
dott. Salvatore Basile
pubblicato su:
C&S Informa, volume 13, numero 1 anno 2012