Novità e conferme interpretative in tema di participation exemption – parte seconda

Temi e Contributi
28/01/2014

Nell’ambito del reddito d’impresa la cessione di partecipazioni in società di capitali e di persone “commerciali” genera plusvalenze imponibili che, a determinate condizioni, possono fruire di un regime agevolativo di parziale detassazione, denominato participation exemption (cd. PEX)[1], di importanza centrale nell’ambito dell’attuale sistema fiscale. Con il presente intervento si prosegue[2] la disamina dei chiarimenti di recente forniti dall’Agenzia delle Entrate[3] in merito ai requisiti di accesso all’agevolazione e ai meccanismi applicativi[4], talora in superamento degli orientamenti già espressi nei precedenti interventi[5]. In particolare, dopo aver affrontato i temi del concetto di esercizio di impresa commerciale e delle peculiarità tipiche delle imprese in fase di start up, ci si sofferma ad approfondire le questioni relative: 

  • al requisito di commercialità in capo alle imprese immobiliari di gestione;
  • al predetto requisito in presenza dell’esercizio congiunto di attività commerciali e non commerciali;
  • ai rapporti tra il regime della PEX e quello delle società non operative;
  • ad alcune peculiarità connesse al requisito della residenza in paesi black list (cessione di partecipazioni in società holding; trasferimento elusivo della residenza).

Con riferimento alle imprese immobiliari di gestione, in forza di presunzione assoluta di legge[6], il requisito dell’esercizio d’impresa commerciale non sussiste quando, sulla base del “principio della prevalenza”, il patrimonio della società partecipata, inteso dall’Agenzia delle Entrate come totale dell’attivo patrimoniale di bilancio[7], è costituito per la maggior parte da immobili diversi da quelli merce o strumentali. Nella comparazione, gli immobili e il patrimonio sono da valutarsi a valori correnti, “considerando anche gli avviamenti positivi e negativi anche se non iscritti”, e non contabili[8]. Al riguardo l’Agenzia ribadisce che i fabbricati concessi in locazione o in affitto d’azienda non si considerano utilizzati direttamente nell’esercizio dell’impresa, così come gli immobili acquisiti in base a contratti di locazione finanziaria dall’utilizzatore e successivamente locati a terzi. In concreto, la “gestione passiva” degli immobili con finalità di mero godimento che si manifesta con la mera percezione di canoni di locazione non integra il requisito di commercialità previsto dalla disciplina PEX.

Tuttavia, l’Agenzia riconosce che sussistono casi in cui la partecipata pone in essere una serie di servizi complementari e funzionali alla utilizzazione unitaria del complesso immobiliare, che nel complesso può configurare una “gestione attiva” del medesimo. Si tratta, a titolo esemplificativo, di servizi relativi alla richiesta e gestione delle autorizzazioni amministrative e licenze commerciali dei negozi situati nel complesso immobiliare, alla gestione amministrativa e finanziaria delle attività svolte all’interno del medesimo, alla pubblicità degli spazi commerciali, alla predisposizione di attrezzature necessarie al funzionamento dei singoli immobili, allo svolgimento di tutte le complesse attività relative all’organizzazione e pubblicizzazione dei negozi, alla manutenzione, pulizia, vigilanza delle aree comuni interne ed esterne, alla gestione dei parcheggi e dei servizi di trasporto dei potenziali clienti, alle attività di animazione e di intrattenimento dei clienti. I predetti servizi possono altresì essere affidati in outsourcing, purché la partecipata sia dotata di una struttura organizzativa e operativa propria, funzionale alla prestazione dei servizi gestiti direttamente e al coordinamento di quelli esternalizzati.

L’Agenzia precisa che qualora i ricavi relativi a tale “gestione attiva”, da considerarsi al netto di eventuali riaddebiti di costi generali e utenze, fossero maggiori rispetto a quella “passiva”, risulterebbe sicuramente integrato il requisito di commercialità. Il requisito potrebbe altresì sussistere nel caso contrario, se la partecipata svolgesse servizi di entità significativa, la cui dimostrazione è però lasciata al contribuente; al riguardo  l’Agenzia non fornisce esemplificazioni, salvo cennare alla presenza di una struttura organizzativa e operativa come sopra descritta (ovvero di un centro di imputazione dei costi per servizi esternalizzati) e all’analisi della relativa configurazione dei costi, evidenziando che tali elementi formeranno oggetto di sindacato di merito in sede di controllo.

Il chiarimento, per quanto apprezzabile, non particolarmente innovativo, poiché di fatto consiste nella mera trasfusione della risposta già resa a suo tempo dall’Amministrazione Finanziaria in sede di interrogazione parlamentare con riferimento alle cessioni di partecipazioni di società che gestiscono centri commerciali[9]. Non si rinviene peraltro alcuna apertura al riconoscimento del requisito di commercialità  alle società di costruzione e compravendita di immobili che lochino i medesimi occasionalmente o strumentalmente ad un miglior realizzo[10].

Passando alla questione relativa all’individuazione de requisito di commercialità in presenza dell’esercizio congiunto di attività commerciali e non commerciali, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che in tali casi occorre avere riguardo sia al valore corrente del patrimonio sia ad altri criteri di prevalenza di una attività rispetto all’altra, già individuati dal legislatore in altri ambiti fiscali, quali l’ammontare dei ricavi, dei costi e dei redditi generati da ciascuna attività, il numero dei dipendenti ad esse addetti e così via.

Tali criteri potrebbero essere impiegati ad esempio per valutare la commercialità di una partecipata che eserciti direttamente attività d’impresa commerciale tramite un ramo d’azienda e contemporaneamente conceda in affitto un diverso ramo d’azienda (oppure consegua proventi dalla concessione in licenza di un marchio). Per le società immobiliari e holding invece restano fermi i specifici metodi previsti dalla norma (prevalenza della componente commerciale nel patrimonio societario valutato a valori correnti).

In sede di primo commento si ritiene che l’Agenzia avrebbe potuto esplicitare con maggiore chiarezza la propria interpretazione. Sull’argomento restano infatti quantomeno due punti dubbi:

  • quale tra i vari criteri enunciati debba ritenersi prioritario nel caso in cui  l’applicazione di due o più criteri porti a esiti contrastanti;
  • se, come sarebbe ragionevole, il valore corrente del ramo d’azienda debba tener conto non solo delle attività ma anche delle passività correlate, a differenza di quanto stabilito per gli immobili.

Per quanto attiene ai rapporti tra il regime della PEX e quello delle società non operative e in particolare alla correlazione tra il requisito di commercialità da un lato e il requisito dell’effettivo svolgimento di un’attività di impresa dall’altro, l’Agenzia rammenta che il regime delle società non operative risponde alla ratio di contrastare quelle società che “gestiscono il proprio patrimonio essenzialmente nell’interesse dei soci senza esercitare un’effettiva attività d’impresa … con l’intento di conseguire finalità estranee alla causa sociale, sostanzialmente prive dello scopo lucrativo …” (cd. società di godimento) oppure “… costituite senza finalità elusive, ma prive di obiettivi imprenditoriali concreti e immediati” (cd. società per varie ragioni inattive, senza impresa).

L’Agenzia quindi chiarisce opportunamente che si tratta di discipline parallele e concorrenti, di modo che nessuna delle due deve ritenersi prevalente o alternativa rispetto all’altra. Ne consegue che in concreto:

  • una società può integrare il requisito di commercialità ai fini PEX senza che ciò costituisca causa di esclusione automatica dall’assoggettamento al penalizzante regime delle società non operative (si pensi ad un’immobiliare di “gestione attiva”, che tuttavia non consegua ricavi sufficienti per superare il “test di operatività” in presenza di immobili di valore molto rilevante);
  • oppure, viceversa una società può risultare operativa, ad esempio grazie al conseguimento di ricavi significativi, ma non per questo essere qualificata come commerciale ai fini PEX (si pensi alla classica immobiliare di “gestione passiva”, ovvero alla società che affitta l’unica azienda).

Il chiarimento, sostanzialmente ragionevole e condivisibile, è da salutare con favore, trattandosi di argomento in effetti mai toccato in precedenza dall’Amministrazione Finanziaria.
 
Passando oltre, con riferimento all’applicazione del regime PEX per le partecipazioni in società holding, intese quali “società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni”, l’Agenzia evidenzia che esso può interessare le partecipazioni detenute in holding sia residenti sia non residenti. Per tale ragione, si pone la questione di coordinare:

  • la verifica relativa al requisito di residenza fiscale della società partecipata holding in paesi diversi da quelli a fiscalità privilegiata (cd. black list), valido ai fini PEX;
  • l’obbligo di effettuare la verifica di cui al punto precedente con riguardo alle società indirettamente partecipate (in forza del principio di trasparenza della holding, cd. look through);
  • il regime fiscale delle Controlled Foreign Companies (cd. CFC rule), che prevede, a determinate condizioni, quali ad esempio la residenza della controllata in paesi black list, l’imposizione in Italia per trasparenza in capo alla controllante dei redditi conseguiti all’estero dalla controllata medesima.

 
In estrema sintesi, l’Agenzia arriva alle seguenti conclusioni interpretative:

  1. nel caso di holding residente in paese black list, il socio italiano, al fine dell’applicazione del regime PEX, deve presentare in via preventiva apposita istanza di interpello all’Amministrazione Finanziaria, dimostrando che tramite la partecipazione nella holding non ha conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a regime fiscale privilegiato, sin dall’inizio del periodo di possesso[11];
  2. l’interpello non è necessario se la holding di cui sopra è assoggettata al CFC rule poiché i relativi redditi sono tassati per trasparenza in Italia; in tal caso la cessione della partecipazione può fruire della PEX, ferma restando la verifica dei requisiti di commercialità e residenza in capo alle partecipate dalla holding;
  3. nel caso di holding residente in paese non black list, che a sua volta possieda esclusivamente o prevalentemente partecipazioni in società black list, in prima battuta il regime PEX non può trovare applicazione in capo al socio italiano, in forza del principio “look through” sopra richiamato; resta salva la possibilità di presentare interpello per dimostrare che il socio italiano tramite la partecipazione nella holding non ha conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a regime fiscale privilegiato, sin dall’inizio del periodo di possesso[12]; anche in questo la cessione della partecipazione può fruire del regime PEX, in presenza degli altri requisiti, qualora le partecipate black list siano assoggettate al CFC rule.

Considerata la complessità interpretativa delle questioni sopra esposte, l’Agenzia opportunamente riconosce che nel caso sub 1) per le situazioni pregresse i contribuenti potranno dimostrare la sussistenza dei requisiti PEX direttamente in sede di controllo senza applicazione di sanzioni per l’omessa presentazione dell’interpello, sebbene in astratto quest’ultimo assuma natura obbligatoria.

Infine, l’Agenzia fornisce due ultimi chiarimenti di rilievo[13] in relazione al requisito della residenza in paesi black list: 

  • la PEX è un regime naturale e oggettivo che si applica al verificarsi di determinate condizioni, comportando l’esenzione delle plusvalenze e la simmetrica indeducibilità delle eventuali minusvalenze realizzate e viceversa, in assenza delle previste condizioni, l’imponibilità delle plusvalenze e la deducibilità delle minusvalenze; pertanto, il contribuente non può arbitrariamente precostituire l’ingresso o la fuoriuscita dal regime PEX al solo fine di avvalersi dei predetti benefici fiscali, ad esempio tramite la collocazione della residenza in un paese black list volta esclusivamente ad ottenere la deduzione della successiva minusvalenza da cessione; in tal caso, l’Agenzia potrebbe contrastare la fattispecie, potenzialmente elusiva del principio di segregazione delle perdite realizzate da controllate black list, tramite l’applicazione della CFC rule ovvero la tassazione integrale dei dividendi distribuiti in passato;
  • i requisiti di commercialità e residenza in paese non black list devono sussistere in capo alla partecipata al momento della cessione della partecipazione e almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso; il secondo dei due deve inoltre essere verificato sin dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione, allo scopo di evitare manovre elusive di trasferimento della sede della partecipata e successiva cessione della partecipazione dopo tre esercizi. Anche in tali casi, in considerazione delle obiettive condizioni di incertezza, l’Agenzia ritiene che per le situazioni pregresse possano essere disapplicate le eventuali sanzioni derivanti dalla nuova restrittiva interpretazione adottata con la Circolare in esame.

 
[1] Per i soggetti IRES la detassazione è riconosciuta nella misura del 95% (art. 87 del TUIR) mentre per i soggetti IRPEF imprenditori nella misura del 50,28% (art. 58, co. 2, del TUIR). [2] Cfr. il precedente articolo pubblicato nel CS Informa n. 4/2013.
[3] Cfr. la circolare n. 7 del 29 marzo 2013.
[4] Si rammenta ancora una volta che l’accesso alla PEX è consentito solo in presenza dei seguenti requisiti tra loro concomitanti (i primi due soggettivi, da verificarsi in capo all’impresa che cede la partecipazione, i restanti oggettivi, da verificarsi in capo alla società la cui partecipazione è ceduta), stabiliti dall’art. 87, co. 1, del TUIR:
a) ininterrotto possesso della partecipazione dal primo giorno del dodicesimo mese precedente a quello dell’avvenuta cessione;
b) iscrizione della partecipazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
c) residenza fiscale della società partecipata in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata;
d) esercizio da parte della società partecipata di un’attività commerciale o industriale. I requisiti di cui alle lettere c) e d) devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso.
[5] Cfr. la circolare n. 36 del 4 agosto 2004, cui sono seguiti nel corso del tempo una serie di interventi su casi specifici sottoposti all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate in sede di interpello e di risposte fornite in occasione di incontri periodici con la stampa specializzata.
[6] Cfr. art. 87, co. 1, lett. d), secondo e terzo periodo, del TUIR.
[7] Cfr. la circolare n. 36 del 4 agosto 2004, par. 2.3.4.
[8] Sul punto, l’Agenzia ha chiarito che tanto il valore corrente degli immobili, quanto il totale dell’attivo patrimoniale, anch’esso a valori correnti, “… vanno assunti al netto di eventuali elementi che possano incidere sia negativamente sia positivamente sulla relativa valutazione, come ad esempio l’iscrizione di ipoteca su un immobile ovvero l’inclusione di un terreno agricolo nel piano di fabbricazione”.
[9] Cfr. interrogazione parlamentare del 9 febbraio 2005 n. 5-03920.
[10] Per un’interpretazione favorevole al contribuente cfr. ADC, norma di comportamento n. 166/2007, Participation Exemption ex art. 87 D.P.R. N. 917/86 - esercizio di attività commerciale da parte di società proprietarie di immobili. L’Agenzia delle Entrate ha espresso il proprio parere negativo relativamente alla temporanea locazione di immobili da parte di società di costruzione con Risoluzione n. 152/2004 e relativamente all’attività di ristrutturazione dell’immobile strumentale all’attività con Risoluzione n. 323/2007.
[11] Si potrebbe ottenere risposta positiva ad esempio qualora la holding black list possiede esclusivamente o prevalentemente partecipazioni in società operative localizzate in paesi non black list, ivi tassati in via ordinaria.
[12] Si potrebbe ottenere risposta positiva ad esempio qualora la partecipata estera abbia la sede legale in un paradiso fiscale ma svolga concretamente la sua attività in altro paese non black list e sia quindi ivi soggetta a tassazione ordinaria.
[13] In questa sede si tralasciano le precisazioni fornite negli ultimi due paragrafi della Circolare in esame con riferimento al requisito PEX connesso al periodo di ininterrotto possesso di cui in caso di costituzione di diritti reali di garanzia su partecipazioni e ai criteri di movimentazione delle partecipazioni confluite in uno stesso comparto (immobilizzato o circolante).


a cura di: 

dott. Pietro Freddo

pubblicato su:

C&S Informa, volume 14, numero 7 anno 2014