Il diritto al compenso dell’amministratore di società

Temi e Contributi
12/10/2012

Chi si assume l’onere di gestire una società ha diritto ad un compenso anche se non lo ha pattuito preventivamente? E può il bilancio essere il documento in cui recuperare la spettanza di un emolumento in precedenza rinunciato?
Il presente articolo esamina brevemente le opinioni e la giurisprudenza sul punto.

Il tema afferisce i rapporti economici tra società e consiglieri, ed è di interesse per gli operatori nel caso in cui l’assemblea dei soci non provveda a deliberare un compenso per gli amministratori o non ne fissi le modalità di quantificazione.
La tematica ha sviluppi distinti in relazione alle diverse tipologie di società, accomunate dalla circostanza che per nessuna il Codice Civile prevede norma specifica.

Delle società per azioni
Per quanto afferisce alle società per azioni, la riforma societaria del 2003 non ha apportato, sul tema, alcuna novità, visto che nemmeno gli articoli del Codice Civile nella loro precedente stesura, prevedevano sul diritto ad una remunerazione a favore chi si assume l’onere di gestire la società.
Per inciso, la novità in tema di remunerazione degli amministratori ha, piuttosto, riguardato la facoltà riconosciuta al Consiglio di Amministrazione di stabilire compensi in via autonoma, a favore di consiglieri investiti di particolari cariche (art. 2389, 3° comma, CC), con buona pace di coloro che intravvedono in tale disposizione la sostanziale legittimazione di un conflitto di interesse.
Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno ormai pacificamente acquisito il principio, già in costanza delle norme precedenti alla riforma, che l’incarico di amministratore presso una società è per sua natura oneroso, indipendentemente dall’attribuzione di deleghe al singolo consigliere.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel presumere un diritto dell’amministratore di s.p.a. al compenso sulla scorta delle seguenti due considerazioni argomentate da precise disposizioni civilistiche:

  • la prima è che l’incarico rivestito ha un contenuto riconducibile al mandato (sia pure con un obbligo di adempiere non tanto con la diligenza del buon padre di famiglia, ma con la competenza richiesta dai doveri derivanti dall’incarico stesso), ed il mandato è per sua natura oneroso per espressa previsione (art. 1720 CC);
  • la seconda è che previsto un diritto al risarcimento del danno disposto a favore dell’amministratore revocato senza giusta causa (artt. 2383, 3° comma, 2409 novies, 5° comma, 2409 noviedecies, 1° comma, CC), che ha la sua ragion d’essere in una legittima aspettativa dell’amministratore di una retribuzione, violata in conseguenza della risoluzione anticipata del rapporto.

Più specificamente, la giurisprudenza ha consolidato l’orientamento di ritenere risarcibile all’amministratore il solo lucro cessante, quantificabile in relazione alla mancata percezione del compenso che egli avrebbe introitato fino alla originaria scadenza della carica, al netto di eventuali compensi altrove percepiti per altro incarico nel frattempo assunto.
Altrettanto consolidato è l’orientamento giurisprudenziale che il risarcimento del danno in presenza di revoca ingiustificata non comprenda i danni patrimoniali quali il discredito personale e la lesione del prestigio causati dalla cessazione della causa, limite criticato da qualche parte della dottrina (1).
La presunta onerosità non viene mai associata, invece, nè dalla dottrina né tanto meno dalla giurisprudenza che la esclude (2), al diritto costituzionalmente sancito dall’art. 36 della Costituzione riguardante la retribuzione al lavoratore subordinato: come si ricorda, al lavoratore subordinato è garantito il riconoscimento di un diritto ad una retribuzione “proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Civilisticamente, quindi, la prestazione dell’amministratore di società non è assimilata al lavoro subordinato, di cui non condivide la natura.
Da ciò se ne traggono le seguenti conseguenze giuridiche: la prima (i) è che la sua definizione è lasciata alla libera contrattazione delle parti (amministratore e società) sia nella misura che nelle modalità di conteggio oltre che di corresponsione; la seconda (ii) è che può essere rinunciato.
Tralasciando la fattispecie, di fatto poco frequente nelle società a scopo di lucro, di una previsione statutaria di gratuità dell’incarico, la valenza contrattuale privata, e ancor più la possibilità di rinunciare al compenso, si dispiega nel caso di assenza di formale delibera dell’assemblea sul quantum da attribuire all’amministratore per l’incarico conferito.
In tale caso, se l’amministratore rimane silente di fronte all’omessa fissazione di un suo compenso nell’atto costitutivo o da parte dell’assemblea, si potrebbe ritenere che intenda rinunciare all’emolumento e, quindi, non ottenere soddisfazione in sede giudiziale in caso di ripensamento.
Di contro, l’assenza di formale delibera potrebbe essere il frutto di una svista, per esempio, qualora in sede di nomina del Consiglio di Amministrazione sia rinviata la quantificazione del compenso a nuova assemblea in attesa di concordarlo con il diretto interessato, come può accadere nelle società a ristretta base azionaria.
Si è posto il problema, allora se l’emolumento possa essere recuperato in sede di bilancio, mediante l’appostazione di una voce di debito da sottoporre all’approvazione (e, quindi, al riconoscimento della sua esistenza) dell’assemblea.
E’ chiaro che si tratta di stabilire la valenza da attribuire all’approvazione del bilancio e, più precisamente, se la delibera di approvazione di un documento contabile sia equipollente alla delibera sul compenso.
La suddetta valenza è stata per molto tempo negata dalla giurisprudenza, (3), in quanto non veniva riconosciuto al bilancio un valore contrattuale: la mera iscrizione in bilancio e la sua approvazione non era considerata un riconoscimento della spettanza dell’emolumento.
Più di recente, invece, è venuta accreditandosi la tesi della natura negoziale dell’approvazione del bilancio, talché è stato affermato (4) che la delibera che approva il bilancio si può considerare una legittima ratifica dell’attribuzione dell’emolumento all’amministratore, in quanto la sua approvazione è la manifestazione di una volontà di far proprie le risultanze espresse dal documento stesso.
Resta da chiarire, però, se sia sufficiente l’approvazione del documento contabile per l’automatica ratifica di compensi iscritti e non deliberati dall’assemblea o, piuttosto, occorra una chiara manifestazione di volontà degli azionisti di ratifica dell’emolumento nel verbale relativo o, in mancanza, fornire la prova che la deliberazione assembleare esprime anche la volontà di una dichiarazione di ratifica (5).

Delle società a responsabilità limitata
L’eliminazione del richiamo dell’art. 2389 CC nella disciplina delle società a responsabilità limitata e, nel contempo, l’assenza di una regolamentazione alternativa sono alla radice di argomentazioni completamente diverse per il tipo di società in oggetto.
La nuova disciplina delle s.r.l. post riforma societaria del 2003 è permeata del principio generale secondo cui i soci godono della più ampia autonomia ed è alla luce di tale assunto che la conclusione d’obbligo secondo alcuna dottrina (6) è che in assenza di una qualche previsione statutaria o decisionale, l’incarico gestorio è gratuito.
La tesi sopra riportata non è universalmente accettata, in quanto parte della dottrina (7) ammette che un diritto ad un compenso sussista comunque, anche in assenza di espressione manifesta.
Condivisibile, anche se di non semplice applicazione, è l’opinione di chi ritiene che occorra verificare preliminarmente se l’impronta data alla s.r.l. in sede privata sia di tipo capitalistico o di tipo personalistico attraverso l’indagine sulla conformazione dell’organo amministrativo ove non ci siano prescrizioni remunerative in ambito statutario o decisionale (8).
L’indagine sulla conformazione è opportuna in quanto nelle s.r.l. possono essere designate alla carica persone che non fanno parte della compagine sociale, in presenza delle quali pare corretto ritenere che gli amministratori debbano essere remunerati, considerata l’attività svolta in termini di tempo, competenza, dedizione con correlata assunzione di responsabilità.

Delle società personali
Stante la natura personalistica delle società in oggetto, e della configurazione delle nomine dell’organo amministrativo in seno alla compagine sociale, il principio riconosciuto è della gratuità dell’incarico, in assenza di disposizione esplicite.

(1)   Anna Laura Bonafini in “Amministratori-Commentario alla riforma delle società” Ed. Giuffrè 2005, pag. 345, nota (5).
(2)   Anna Laura Bonafini in “Amministratori-Commentario alla riforma delle società” Ed. Giuffrè 2005, pag. 345, nota (7).
(3)   Cassazione 30.3.1995 n. 3744 in “Giustizia civile” 1995, I, pag. 3021 e ss.
(4)   Cassazione 27.2.2001 n. 2832 in Foro Italiano, 2002, c. 880 ss.
(5)   G.E. Colombo in “I libri sociali ed il bilancio nelle società per azioni” in Trattato Rescigno, XVII, tomo 3^, 1985, pag. 42.
(6)   O.Cagnasso “I volti della nuova società a responsabilità limitata” in “La riforma delle società. Profili della nuova disciplina” a cura di S. Ambrosini Torino 2003, pag. 27; A. Busani in “S.r.l.- Il nuovo ordinamento dopo il D.Lgs 6/2003”, Milano 2003, pag. 422).
(7)   R. Rodorf “I sistemi di amministrazione e controllo nella nuova s.r.l.” in “Società” 2003, pag. 664; C. Caccavale “L’amministrazione, la rappresenza, i controlli” in “La riforma della società a responsabilità limitata - Collana “Notariato e nuovo diritto societario”Milano, 2003, pag. 364, e altri vedi Anna Laura Bonafini in “Amministratori-Commentario alla riforma delle società” Ed. Giuffrè 2005, pag. 347, nota (15).
(8)   Anna Laura Bonafini in “Amministratori-Commentario alla riforma delle società” Ed. Giuffrè 2005, pag. 348.  

a cura di: 

dott.ssa Anna Domenighini

pubblicato su:

C&S Informa, volume 13, numero 6 anno 2012